Etica e DPO, un difficile rapporto?

Caso non comune ma sto ampliando un mio precedente articolo che, nei fatti, costituisce il corpo centrale di questo post.

Stimolato dai feedback sul mio ultimo post sul DPO

e stimolato dalla lettura di un post ed i commenti sagaci di Andrea Monti mi sono rimesso a pensare a certi ruoi aziendali.

Prima di proseguire nella lettura però dovete leggervi di Andrea Monti:

La chiusura finale in particolare è interessante dove Andrea nota:

“…o il DPO fa finta di non vedere (e diventa concorrente in un illecito. Formale, ma pur sempre illecito) oppure mette il veto sull’iniziativa e, se l’azienda prosegue, non ha troppe alternative rispetto a segnalare il fatto all’autorità di protezione.”

“Quindi il DPO, anche se non segnala in autonomia una violazione normativa, può essere ascoltato dall’autorità (non solo) di protezione dei dati su queste circostanze. E dunque diventare un potenziale teste a carico (dell’accusa, in altri termini).”

Andrea Monti

E qui si apre un interessante punto .. ed è una esperienza che ho vissuto come manager in una multinazionale.

image taken from http://elaine.ie/2016/05/27/state-should-pay-whistleblowers/

Ad un certo punto, in una certa azienda, mi è stato detto che certi dati del personale sarebbero stati trasferiti fuori europa semplicemente perchè si, in barba al GDPR, e che non si doveva dire.

La questione mi ha subito dato fastidio per un motivo personale, tra quei dipendenti c’ero anche io. Erano i miei diritti che erano lesi, anche se i dati sarebbero stati trattati in maniera sicura.

Il punto era che invece che provare a discorrere con le autorità europee o trovare delle vie di mezzo percorribili si era scelto di non rispettare alcuni termini del GDPR. sapendo benissimo di violare un regolamento EU e sapendo benissimo di capire di tale regolamento poco o nulla.

Ancora più fastidioso era l’essere messo in mezzo ad un dilemma etico ed economico.

Durante la riunione ho obiettato che:

  1. mi si chiedeva esplicitamente di mentire alle mie persone e colleghi
  2. mi si chiedeva di non rispettare le leggi del mio paese
  3. mi si chiedeva di rendermi complice di un illecito.

Lo scopo era vedere se ci fossero state reazione da parte dei miei colleghi. Aimè solo 2 CSO nord europei mi diedero ragione.

Ovviamente le mie obiezioni furono derubricate a “quello rompe sempre le scatole” il che mi ha portato, assieme ad altre considerazioni (alcune strettamente personali) alla decisione di non rinnovare la collaborazione con quella azienda e contestualmente segnalare la cosa all’authority dopo la fuoriuscita.

Ora la questione è dove deve, eticamente, cadere la mia lealtà in questi casi? Verso la azienda o verso, in questo caso, le leggi del mio paese?

La cosa non è semplice, ne parlavo in un altro post quando osservavo che considero mascalzoni quei CEO/Board che per puro calcolo matematico preferiscono il rischio della sanzione che l’implementazione corretta del GDPR.

La mia obiezione risiede nel fatto che il GDPR è norma per proteggere le libertà di noi cittadini e residenti EU, non rispettarlo quindi implicitamente mette a rischio le mie libertà individuali.

Nel mio caso la mia lealtà va alla protezione dei miei concittadini e al rispetto della legge, anche se parliamo di un illecito amministrativo o formale la questione non è banale.

Un manager potrebbe allinearsi alla richiesta aziendale, potrebbe non allinearsi e prenderne le conseguenze (lo ho vissuto) o fare una via di mezzo, ad esempio denunciare il comportamento in via anonima alla autorità competente dopo aver, almeno, provato a obiettare sul comportamento.

Ancora più delicato, in questo caso, è il dipendente non manager, vaso di coccio.

L’istituto del whistleblowing potrebbe in qualche modo “proteggere” ma diciamocelo se si viene a sapere chi ha cantato…

Il problema etico rimane, in mancanza di obblighi formali a comunicare alla opportuna authority un eventuale illecito.

Il caso del DPO è anche più critico, visto che istituzionalmente ha obblighi chiari in merito al rispetto del GDPR che sono di indirizzo, formazione e controllo. Il punto è che in assenza di segnalazione alla autorità della non aderenza al regolamento il DPO non esercita la sua funzione di controllo.

Supponiamo per un momento che il DPO presenti le sue valutazioni di rischio su di un processo al board dando una valutazione che presenta un piccolo rischio residuale come accettabile, e che il board rifiuti le conclusioni definendo un rischio accettabile più alto. Ora posso comprendere che questo entri in un ambito di contrattazione tra le parti, se il rischio residuale è troppo alto il DPO deve comunicare con l’authority per la valutazione.

Ora il quanto alto sia è il punto dirimente, se il DPO considera il rischio accettato dal board troppo alto fa bene a comunicare al garante la cosa per un parere?

E se non lo fa e accade un incidente? E se non lo fa e viene una ispezione che giunge alle conclusioni del DPO e trova scritto nelle minute dei meeting del board quali erano le posizioni in merito?

Situazione scivolosa persino senza che vi sia un illecito formale come indicato nel post di andrea che vi invitavo a leggere inizialmente.

Analogo discorso potremmo farlo per il CISO che non ritenga adatti i meccanismi di protezione messi in atto dall’azienda ed in caso di breach incalzato dalle autorità esprima le sue perplessità (possibilmente scritte in qualche documento ufficiale).

Fa bene?

Fa male?

La questione delle responsabilità è quindi delicata, si prenda il caso INPS, dove alla fine tutto è finito a tarallucci e vino. Possibile che internamente nessuno ha sentito il bisogno di denunciare una situazione che ha portato al disastro? Non voglio credere che il livello di incompetenza sia tale per cui nessuno se ne potesse rendere conto.

Se è vero che vi sono vincoli di riservatezza, fino a dove questi si possono spingere?

Come Whistleblower o per ruolo la questione è non semplice, anche perchè vi sono altri termini da considerare tipo:

  1. la necessità di uno stipendio
  2. la possibilità di trovare lavoro

Pensate, ad esempio, un DPO che denuncia al garante una non conformità della propria azienda. Tra lui ed il CEO difficilmente sarà il CEO ad essere licenziato.

Ma se il DPO perde il lavoro a seguito della cosa (e i metodi ci sono per farlo) e la cosa si sa (questo è un mondo piccolo)…quante possibilità avrà di trovare una nuova collocazione?

Pensare ad una indipendenza che sia reale diventa estremamente difficile soprattutto in una situazione economica dove la ricollocazione non è ne facile ne garantita.

Meditiamo, Meditiamo

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