Perché scrivo quello che scrivo.

Come tutte le cose anche scrivere richiede allenamento, ed io sto cercando di riprendere una abitudine che avevo abbandonato da qualche anno.

Scrivere è un esercizio utile, che va al di là dei post che faccio su linkedin, scrivere un post, seppur sul mio blog, di 6 o 7 mila caratteri è un buon modo di raccogliere le idee e ordinarle, in un processo che affina la comprensione dell’argomento mentre si scrive.

Lo stesso effetto me lo da l’insegnamento e parlare in conferenze quando lo facevo, mi aiuta ad imparare e capire. Il confronto con idee diverse, anche eoni distanti da te, serve sempre, a patto di ascoltare.

L’insegnare ti obbliga a riconsiderare quello che sai perchè devi trasmetterne gli elementi comprensibili. Sembra facile, ma non lo è, almeno per me. Si tratta di scardinare l’assunto che la tua esperienza sia il riferimento da usare, per partire dall’esigenza di costruire una nuova piattaforma esperienziale mediata tra quello che sai, o credi di sapere, e quello che sanno, o credono di sapere, i tuoi allievi.

Il risultato è che si cerca un piano comune dove il docente deve cercare gli appigli per legarsi alla esperienza del discente e iniziare a lavorare per creare la piattaforma che consentirà il passaggio della conoscenza.

people sitting on gang chairs
Photo by Luis Quintero on Pexels.com

Con le conferenze invece il discorso è diverso, in questo caso quello che cerco di ottenere è uno storytelling accattivante che tenga l’attenzione del pubblico. Parlare su di un palco è forma oltre che sostanza, e sfiora la recitazione o il cabaret. La mia cifra è sempre stata l’ironia e l’improvvisazione, non sono un sostenitore del ripetere le slides mnemonicamente e quindi cerco di capire anche l’ambito culturale ed il tipo di ironia che si usa nel luogo. Parlare in cina, singapore, arabia saudita, stati uniti o europa richiede accorgimenti decisamente diversi.

Ho iniziato a parlare così sul palco perchè proiettavo la mia esperienza quando assistevo a conferenze dai contenuti interessantissimi ma con oratori che ti facevano abbassare la palpebra. Confesso di essermi addormentato diverse volte, ecco perchè non mi siedo quasi mai in prima fila.

Sono in una fase della mia vita in cui non cerco soddisfazioni dal lavoro, brutto da dire forse, ma aspirazioni carrieristiche le lascio a chi ne ha bisogno. Cerco di fare le cose per me, soddifare sia i miei pruriti intellettuali che la mia voglia di contribuire nelle aree su cui penso poter contribuire, che va al di la di quello che può essere la mia attività del momento.

Scrivere è una di queste cose. Ora volendo ricominciare scrivere ho bisogno di fare due cose, esercitarmi esplorando anche stili linguistici che non mi sono molto familiari, e avere continuità.

La prima esigenza è tutto sommato la parte divertente, provare cose nuove può essere stimolante, il secondo punto è il vero ostacolo, la continuità pretende un prezzo: dover pensare a cosa mettere su “carta” e mettercelo davvero.

vediamo quanta costanza riuscirò a mantenere.

Per fortuna il mio è un piccolo blog personale, non richiede il confronto col grande pubblico e quindi questo mi da maggiori libertà espressive e maggior copertura all’errore :-).

Vedremo.

To the official site of Related Posts via Taxonomies.


Discover more from The Puchi Herald Magazine

Subscribe to get the latest posts sent to your email.

CC BY-NC-SA 4.0 Perché scrivo quello che scrivo. by The Puchi Herald Magazine is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International License.