Antonio Ieranò
Security, Data Protection, Privacy. Comments are on my own unique responsibility 🙂
September 2, 2024
Era il 2016 (7 anni fa) e scrivevo riguardo il micromanagement. Ultimamente mi sono ritrovato a dover discutere dello stesso argomento e quindi, sotto, riporto il vecchio post. Qui lo riporto in italiano (con qualche update in italico) perchè alla fine, dopo tutti questi anni, non molto è cambiato e il discorso ha ancora senso in molte realtà.
Stavo leggendo un articolo interessante sul micromanagement (“Why Is Micromanagement So Infectious?”) che mi ha spinto a scrivere nuovamente sulla questione della gestione.
Il mio interesse riguarda le implicazioni di un atteggiamento di micromanagement su un team, con un focus sulla gestione degli esperti.
Nella gestione aziendale, il micromanagement è uno stile di gestione in cui un manager, o una catena di management, osserva o controlla strettamente il lavoro dei subordinati o dei dipendenti. Il micromanagement ha generalmente una connotazione negativa.
I sintomi classici del micromanagement sono
- la mancanza di delega,
- l’imposizione di regole aziendali a prescindere dalla loro efficacia o equità,
- la mancanza di contestualizzazione dei compiti e degli obiettivi,
- il focus su dettagli minori o trivia procedurali,
- la cosiddetta “reportmania”,
- i continui riferimenti per dimostrare anche l’affermazione più ovvia,
e così via.
Le variabili implementative del micromanagement sono varie, ma di fondo hanno un comune eccesso di reportistica e una certo scollegamento dalla realtà operativa.
Il micromanagement nasce in contesti in cui sequenze statiche e ben definite di attività erano l’unica richiesta necessaria ai dipendenti per svolgere il loro dovere. Sebbene il micromanagement possa trovare la sua ragione nei vecchi ambienti di produzione, nel mondo moderno la gestione aziendale ha presentato diverse tecniche di gestione per affrontare un diverso tipo di dipendente, il lavoratore della conoscenza (knowledge user).
La ragione di questo cambiamento di focus è che i dipendenti devono confrontarsi non con un ambiente di produzione statico, quindi devono adattarsi rapidamente ed assumersi la responsabilità delle decisioni necessarie in un termine molto breve. Ciò richiede un diverso set di competenze e abilità che ha costretto la teoria della gestione aziendale a introdurre il concetto di “lavoratore della conoscenza, Knowledge Worker”.
Knowledge Worker Un lavoratore della conoscenza è, usando la definizione di Wikipedia:
“I knowledge worker sono lavoratori il cui capitale principale è la conoscenza. Esempi includono solution sellers, ingegneri del software, medici, farmacisti, architetti, ingegneri, scienziati, commercialisti pubblici, avvocati e accademici, il cui lavoro è ‘pensare per vivere'”.
Questi tipi di lavoratori devono affrontare una diffusione più profonda e ampia della conoscenza necessaria per affrontare l’attuale ambiente complesso e in evoluzione, dove regole statiche e approcci sarebbero meno efficaci. Il valore di un lavoratore della conoscenza è la sua conoscenza che dovrebbe essere utilizzata per affrontare problemi nuovi e sconosciuti, ottimizzare processi precedenti, aprire nuovi mercati, e così via.
In un contesto in cui il lavoro della conoscenza è fondamentale per la sopravvivenza dell’organizzazione, il micromanagement è il ritratto classico di un cattivo manager… perché?
Perché un manager in un ambiente di lavoro della conoscenza dovrebbe gestire le risorse dando loro autonomia, fiducia e risorse per raggiungere gli obiettivi assegnati, altrimenti non gestirebbe efficacemente le risorse dei lavoratori della conoscenza.
Questo è un problema serio in ogni azienda che fa dell’innovazione e della tecnologia la sua ragione, poiché il micromanagement non si concilia bene con la creatività, che è un requisito obbligatorio per l’innovazione.
Perché questo è dannoso in un ambiente high-tech? L’idea alla base del micromanagement è associata a due nefaste supposizioni:
- Il dipendente non può essere affidabile
- Il manager sa meglio come fare il lavoro.
Vediamo nel dettaglio cosa significano queste supposizioni:
Problema di fiducia: La fiducia è una relazione bidirezionale, come il rispetto o, al di fuori del regno lavorativo, l’amicizia.
Non dare fiducia significa non ricevere fiducia. Questo influenza, fondamentalmente, tutto l’ambiente.
In un ambiente di squadra, che è il requisito base per giustificare la necessità di un manager, la conseguenza della mancanza di fiducia è il crollo, fin dall’inizio, di qualsiasi reale collaborazione tra i membri del team che non sia strettamente imposta o precedentemente codificata.
Le dinamiche risultanti influenzano la flessibilità e la creatività, che sono mortali in un ambiente complesso e in continua evoluzione come quello delle TIC.
Un altro problema legato alla questione della fiducia associata al micromanagement è che senza delega non c’è assunzione di responsabilità e quindi c’è una tendenza ad evitare qualsiasi rischio.
Mentre la minimizzazione del rischio può sembrare una buona cosa, il problema è che non correre alcun rischio significa non fare nulla di diverso o nuovo. Questo è il modo più rapido per bloccare la crescita e l’evoluzione, che sono essenziali per la sopravvivenza di un’organizzazione.
In un ambiente di micromanagement, i subordinati evitano di assumersi responsabilità e rischi a causa dell’atteggiamento gestionale che non premia questo come valore. Questo atteggiamento percorre tutta la catena di controllo o gerarchia, tipicamente spostando la colpa verso i livelli inferiori che, d’altra parte, non hanno modi per cambiare le cose a causa dell’atteggiamento e dei vincoli del micromanagement.
Inoltre, da un punto di vista etico, varrebbe la pena chiedersi quali siano le basi che rendono un manager più affidabile di uno dei suoi sottoposti. Considerando, in particolare, i lavoratori della conoscenza, stiamo parlando nella maggior parte dei casi di professionisti esperti che hanno fornito i loro servizi in diversi contesti; la necessità di forte etica e impegno è necessaria per quel tipo di attività e, per inciso, negli ultimi 30 anni sempre più studi hanno mostrato come l’assunzione che i manager lavorino per il bene maggiore dell’azienda non sia conforme alla realtà.
In questo contesto il problema principale del micrpomanagement è che asume che vi ia un unico metro di misurazioni che sia in grado di definire i processi, assegnando alle procedure del micromanagemet non la forza dell’analisi correttiva, ma un assoluto che dimostra quale debba essere la strada corretta. Il micromanager non ha, ovviamente, questa percezione perchè convinto che la sua via sia l’unica via. E la giustificazione al micromanagement è spesso presentata come la bnecessità di monitorare in dettaglio le performance per poter avere una visione globale e reale dello sviluppo delle attività.
Problema di conoscenza: Nei vecchi ambienti di produzione, la maggior parte delle conoscenze era legata all’esperienza maturata svolgendo un compito manuale specifico. L’applicazione classica è stata, storicamente, l’introduzione delle linee di assemblaggio o di produzione. In quei tipi di ambienti la necessità di gestione del team era meno rigorosa; poiché ogni membro aveva un insieme predeterminato di azioni e competenze definite, mentre tutto il processo decisionale era demandato al livello superiore, il micromanagement era un comportamento accettabile e, in una certa misura, il modo per trasmettere conoscenza ai nuovi dipendenti.
In questo scenario era naturale assegnare funzioni di middle management a dipendenti basati sull’esperienza maturata all’interno dell’azienda, poiché l’azienda e il prodotto o la linea di assemblaggio erano l’unico riferimento disponibile.
Mentre l’assunzione che il manager sia più esperto del suo sottoposto può essere vera in un ambiente non di knowledge worker, per sua natura un ambiente di lavoratori della conoscenza richiede una profondità di competenze che non possono essere raccolte in un’unica fonte.
La ragione è fondamentalmente collegata alle due dimensioni della conoscenza, ampiezza e profondità.
Il micromanagement non è possibile se la profondità o l’ampiezza della conoscenza richiesta supera la conoscenza del manager, cosa che è, in realtà, una situazione comune. Di conseguenza, il micromanagement sposta il suo focus su aspetti banali, burocratici, non strettamente legati all’obiettivo.
Il punto centrale dell’esperienza è colmare il divario per l’organizzazione; se il manager fosse in grado di colmare questo divario, i knowledge worker non sarebbero necessari.
Probabilmente la migliore citazione contro l’atteggiamento di micromanagement può essere presa dalla famosa dichiarazione dell’ex CEO di Apple, Steve Jobs:
“…non ha senso assumere persone intelligenti e dire loro cosa fare; assumiamo persone intelligenti affinché possano dirci cosa fare.”
Questo esemplifica in modo eccellente perché il micromanagement non è una buona idea quando si tratta di knowledge worker.
Uno dei problemi di cui rararamente si parla, però, è la incapacità del management di leggere le competenze e capacità di un candidato. E sopratutto di creare, al momento della contrattazione, un ambiente irreale e “favolistico” del reale ambiente id lavoro, col risultato di scegliere spesso la persona errata perchè la “descrizione” del ambiente di lavoro e relative richieste è diverso dal quello effettivo.
La gestione è una questione complicata Il micromanagement non è l’unico ritratto di un cattivo manager, così come la mancanza di delega non è solo l’unico ritratto di un micromanager. Ma di sicuro se un micromanager è un cattivo manager, mentre non essere un micromanager non significa automaticamente essere un buon manager.
Il micro management è spesso una questione imposta dall’alto, e buoni manager cercano di gestire la richiesta con la reale esigenza di fare ciò che serve. Va da se che vi sono limiti che spesso riusltano di difficile gestione. Sopratutto quando il micromanager di livello superiore è quello che si dice un “control freack”. Oggi sempre più il micromanagement diventa la “soluzione” per affrontare momenti di crisi ed è spesso un dicktata aziendale più che un desiderata di molti manager, che subiscono da un lato la fascinazione della giustificazione, dall’altro il peso della pressione dei livelli superiori.
Purtroppo, in assenza di micromanagement come stile di gestione, il manager deve trovare un modo per gestire, motivare, premiare, aiutare, supportare e dare obiettivi ai membri del suo team.
Ma, se l’ambiente azienda richiede il micromanagement, questo porta tensioni e difficile gestione del team. spesso generando insoddisfazione e problematice anche di performance.
La parte più complicata è che, in un moderno ambiente di knwledge management, alcuni o addirittura tutti i membri del team possono avere una maggiore anzianità in termini di conoscenza, età ed esperienza rispetto allo stesso manager diretto o di livelli superiori, il che rende il micromanagement, così come altre pratiche comuni di cattiva gestione, non solo poco pratico ma anche controproducente.
Quando un'azienda assume un esperto, sta assumendo un lknowledge worker, il che significa adottare lo stile di gestione corretto.
Uno stile di gestione corretto significa iniziare a lavorare sugli obiettivi e i target (dimenticare per una volta i maledetti KPI e iniziare a pensare come un professionista), definire congiuntamente i requisiti (che significa il livello di autonomia, l’autorità delegata necessaria, lo sponsorship, le credenziali tra gli altri gruppi, e così via) e impostare in modo corretto l’ambiente operativo.
Se questo viene fatto, il micromanagement è assolutamente privo di senso, se questo non viene fatto, usare esperti è assolutamente privo di senso.
Le conseguenze negative del micromanagement
Il micromanagement ha delle conseguenze anche in termini di risultati operativi sulle attività. La richiesta ossessiva di monitoraggio e reportistica può portare, come conseguenza, al posticipare la registrazione delle attività all’ultimo momento, ossia a obiettivo raggiunto in positivo o (raramente) negativo.
Questo significa, in altre parole, che si tende a concentrare la comunicazione delle attività solo alla fine di queste, per evitare la noiosa (e spesso stressante) trafila delle revisione periodiche.
Il risultato è che l’output ottenuto è esattamente l’opposto di quello che si desidera ottenere attraverso il micromanagement, e la misurazione degli obiettivi diventa inquinata dal fatto che le registrazioni delle attività avvengano solo a giochi fatti.
Questo, per altro, impedisce una corretta gestione dell’eventuale problema quando questo dovesse presentarsi.
In quest’ottica il micromanagement presenta il suo problema più grosso in quanto sposta la richiesta di supporto in caso di problemi all’ultimo momento.
Questa è una difficoltà che i Micromanager devono affrontare seriamente, anche perchè spetta ad un manager spostare problematiche.
Alla annosa (e noiosa, nonchè stolta) obiezione di molti manager:
“Io non voglio problemi voglio soluzioni”
mi piace ricordare che se il knowledge worker fosse in grado di risolvere il rpobelma in autonomia lo avrebbe già fatto (questo è uno dei motivi per cui si assumono persone di esperienza), se non lo fa significa che la questione è al di fuori della sua portata (i motivi possono essere tecnici, di politica aziendale, o di altri milioni di motivi).
Insomma delle due:
- O hai assunto una persona di cui ti fidi delle competenze (fiducia non riposta nel nulla, dipende dallo storico delle performance precedenti)
- O hai assunto la persona sbaglita
Il che non significa necessariamente che la persona non sia competente, ma che magari non si adatta al tuo modello di business, come lo stai immaginando ed implementando.
Piccoli pensieri finali
Di sicuro il micromanagement porta ad una disaffezione del knowledge worker nei confronti del management e, in generale, della azienda nel suo complesso. Questo porta, è nella natur del knowledge worker, ad un abbassamento di performance legato all’ambiente in cui si trova immerso.
Per altro il micromanagement, al di la delle pelose affermazioni di chi lo applica, è nei fatti una chiara mancanza di fiducia, ma questo ha come conseguenza la perdita di fiducia. La fiducia, occorre ricordare, è questione biunivoca. NOn si ha fiducia se non si da fiducia e vicevera.
Un’altro effetto negativo dell’approccio legato al micromanagement è che l’esperienza portata in azienda dal knowledge worker diventa un elemento di frizione ed attrito, sopratutto in mancanza della possibilità di attuare ed implementare pratiche diverse legate a esperienza e attidutine del knowledge worker stesso.
Tutta colpa dei managers?
No, non è tutta colpa dei manager. Ogni manager ha il suo stile e le sue caratteristiche. Possono piacere o meno, questo è uno dei parametri di valutazione in fase di contrattazione. Purtroppo capita che il management cambi in corso d’opera dopo l’assunzione, e questo può ingenerare problematiche di comprensione. Concorrono in queste problematiche anche una cattiva gestione del personale, ed una cattiva valutazione da parte del knowledge worker, che dovrebbe avere anche le competenze per capire dove va a finire filtrando il racconto fatto con la propria esperienza.
Adattabilità ai cambiamenti
Il micromanagement può essere una fase legata a cambiamenti, tipica sopratutto di necessità legate al cambio di vertici aziendali magari in fase di contrazione di mercato (quando il mercato è in crescita pochi osano ragionare).
Questo non giustifica il micromanagement, che è sempre un indice di pessimo management nel caso di Knowledge Workers, sia corretto, ma è una fase comprensibile di una possibile evoluzone. Ma occorre capire che questa fase può fare danni poi difficilmente gestibili.
La gestione del cambiamento deve tenere conto anche delle conseguenze.
per concludere i problemi del micromanagement superano gli effetti positivi, ma chi implementa il micromanagement non ha le competenze per capirlo.
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