Managers ed AI: ne resterà uno solo?

🤖🚀 Managers VS AI: ne resterà uno solo?
Certo, avete già sentito la profezia apocalittica: “L’AI ci sostituirà tutti!” 😱 E nel bel mezzo di questa rivoluzione digitale, c’è chi si chiede… “E i manager che fine fanno?”
Se anche voi vi siete posti la stessa domanda mentre sorseggiate il caffè (o mentre l’ennesimo algoritmo vi ruba il posto alla macchinetta 🍪☕), allora il mio ultimo articolo fa proprio al caso vostro!
Ho cercato di fare chiarezza (e qualche risata) su come l’Intelligenza Artificiale stia impattando i diversi “tipi” di manager: da chi segue gli ordini alla lettera 😐 a chi invece vive di visione strategica 💡.
Curiosi di scoprire quale categoria siete… e se siete a rischio “rottamazione digitale”?
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Leggete, commentate e fatemi sapere: AI🔮 o umanità🤝 – chi vincerà?


Oggigiorno si parla spesso – talvolta a sproposito – di Intelligenza Artificiale (IA o AI, dall’inglese Artificial Intelligence). Uno dei luoghi comuni più diffusi, specialmente tra coloro che non hanno compreso a fondo cos’è davvero l’IA e ne enfatizzano i presunti pericoli, è che l’Intelligenza Artificiale causerà la scomparsa di numerosi lavori. È difficile stabilire quanto ci sia di vero in queste visioni apocalittiche. Tuttavia, è innegabile che l’IA avrà un impatto significativo su quelle mansioni in cui la competenza umana è limitata, o dove la standardizzazione e l’automazione possono portare maggiore efficienza.

La storia insegna che l’automazione riduce gli spazi per i lavori meno qualificati (Brynjolfsson & McAfee, 2014), ma ciò non ha mai comportato una diminuzione “assoluta” dei posti di lavoro: piuttosto, si è assistito a una loro graduale trasformazione e riqualificazione. Il rischio principale associato all’introduzione dell’IA, quindi, non riguarda tanto la “fine” di tutti i posti di lavoro, quanto la scomparsa o la profonda evoluzione di ruoli caratterizzati da una bassa componente di competenze distintive. In altre parole, quanto minore è il valore aggiunto offerto dall’umano in termini di creatività, giudizio complesso o empatia, tanto più elevata è la probabilità che quelle mansioni possano essere affidate a un sistema di IA (Davenport & Kirby, 2016).

Fra i ruoli lavorativi ritenuti potenzialmente “a rischio”, ve n’è uno che raramente viene approfondito nei dibattiti in tema di sostituzione tecnologica: la figura del manager, declinata in tutte le sue possibili sfaccettature, dal “basso” management al cosiddetto middle management, fino ai vertici “C-level” (CEO, CFO, CTO, ecc.). In molti casi, infatti, si dà per scontato che il manager debba per forza essere una figura insostituibile. Ma è davvero così? Oppure esistono aspetti della funzione manageriale che l’IA è già in grado di replicare, potenziando o sostituendo parzialmente il ruolo del manager?

Di seguito cercheremo di rispondere a queste domande, analizzando brevemente la figura del manager, suddivisa – in maniera volutamente semplificata – in tre tipologie: i “manager funzionali”, i “buoni manager” e i “grandi manager” (great manager). Successivamente, vedremo in che modo l’IA potrebbe intersecarsi con ognuna di queste categorie, generando potenziali rischi (o opportunità).


Definizione di Manager

Un manager è, in senso generale, una figura professionale responsabile di coordinare e dirigere persone, risorse e processi all’interno di un’organizzazione, al fine di raggiungere obiettivi specifici (Fayol, 1949; Mintzberg, 1973). Tra i compiti principali rientrano la pianificazione, l’organizzazione, la conduzione (leading) e il controllo di attività e progetti, assicurandosi che quanto svolto sia in linea con la strategia aziendale.

la slide è mia, poi mi chiedo perché non mi hanno fatto più fare corsi per manager

Da anni, nei corsi destinati alla formazione manageriale, si ripete che il manager di successo non si limita a “comandare” e controllare, ma agisce come facilitatore e guida. Tuttavia, esistono differenti livelli di maturità manageriale, che qui dividiamo in:

  1. Manager “funzionale”
  2. Buon manager (“proattivo”)
  3. Grande manager (“strategico e visionario”)

In sintesi, la principale differenza tra queste tre tipologie sta nel passaggio da un approccio “reattivo” (fare esattamente ciò che è richiesto) a uno “proattivo” (capire e tradurre le aspettative in azioni efficaci), fino ad arrivare a un approccio “strategico” (individuare e realizzare ciò di cui l’azienda ha effettivamente bisogno).


Manager vs. Intelligenza Artificiale

Il manager “funzionale” è davvero sostituibile?

Il manager che “fa solo quello che gli dicono di fare” è probabilmente il più esposto al rischio di sostituzione da parte di algoritmi e sistemi di IA. In fondo, per compiere funzioni meramente esecutive, basta un algoritmo adeguatamente addestrato che risponda a istruzioni del tipo:

“Se il capo dice A, fai A. Se il capo dice B, fai B. Se il capo non dice nulla, attendi il nuovo input.”

Nel momento in cui le competenze richieste per svolgere un determinato lavoro sono ridotte alla ripetizione di procedure standard, l’IA può addirittura risultare più efficiente e meno “onerosa” di un manager umano. L’algoritmo non si lamenta, non chiede pause caffè e, in linea di principio, può lavorare 24 ore su 24.

Questo fenomeno è già stato osservato in altri ambiti: si pensi ai sistemi di robotic process automation (RPA) che gestiscono processi amministrativi ripetitivi con altissima precisione (van der Aalst et al., 2018). Perché non dovrebbe accadere qualcosa di simile con livelli di middle-lower management che, di fatto, si limitano a trasmettere istruzioni dall’alto verso il basso?

Il “buon manager” rischia anch’egli?

La seconda categoria di manager – quelli proattivi, capaci di interpretare bisogni e aspettative dell’azienda – potrebbe sembrare inizialmente più al sicuro. In realtà, bisogna considerare che molte attività manageriali non consistono soltanto nel “dire cosa fare”, bensì nel tradurre gli obiettivi e le politiche aziendali in azioni concrete, interpretando correttamente segnali e indicazioni a volte implicite.

La presenza di Large Language Model (LLM) sempre più sofisticati (ad es. ChatGPT, GPT-4, Bard, ecc.) potrebbe rendere obsoleta una parte di questo processo di “interpretazione”, poiché le IA linguistiche hanno già mostrato una notevole capacità di “comprendere” il contesto e generare risposte coerenti con obiettivi anche complessi (Brown et al., 2020). Se l’azienda fornisce linee guida e strategie in forma digitale, un LLM ben allenato potrebbe essere in grado di tradurre tali istruzioni in proposte operative e piani di gestione.

Ne consegue che il manager che si limita a esercitare una buona capacità interpretativa, ma non possiede vere competenze distintive (visionarie, innovative, empatiche, ecc.), rischia di regredire al ruolo di un “mero esecutore qualificato”. A quel punto, i vantaggi rispetto a un’IA potrebbero ridursi sensibilmente.

E il “grande manager”? Rischi e opportunità

Il manager “strategico e visionario” appare, sulla carta, meno soggetto alla sostituzione: la sua forza sta nella capacità di intuire strade non ancora battute, di creare connessioni originali e di dare senso a informazioni provenienti da fonti molteplici, anche contraddittorie. L’IA, per quanto evoluta, ragiona generalmente su schemi già esistenti, estrapolando pattern da dataset immensi ma pur sempre storicizzati (Agrawal, Gans & Goldfarb, 2018).

Ciò non significa che i “grandi manager” siano del tutto al riparo dal fenomeno: bisogna considerare che, spesso, chi detiene la proprietà dell’azienda o chi si trova ai vertici C-level (che talvolta coincidono con i manager stessi) potrebbe iniziare a fare uso di strumenti di IA senza una piena comprensione dei limiti e delle insidie di tali tecnologie. Questo può dar luogo a conflitti insanabili qualora il manager proponga soluzioni basate su esperienza umana, creatività e visione, mentre la proprietà si affidi ciecamente a un software di IA, ritenuto erroneamente “onnisciente” (Harvard Business Review, 2019).

Tuttavia, in un contesto ben gestito, l’IA può diventare un alleato del grande manager, supportandone l’analisi dei dati e la verifica di ipotesi strategiche. In questo senso, l’IA opera come “amplificatore” delle capacità manageriali, permettendo di prendere decisioni più consapevoli e rapide (Shrestha, Ben-Menahem & von Krogh, 2019). Il manager rimane la figura chiave per integrare informazioni, guidare il cambiamento organizzativo e interagire in modo empatico con il proprio team.


Automazione: opportunità o minaccia?

La discussione su IA e sostituzione dei ruoli manageriali rientra in un discorso più ampio sull’automazione del lavoro. Storicamente, ogni ondata di innovazione tecnologica ha messo a rischio alcune mansioni e ne ha create altre, con il risultato di trasformare il mercato del lavoro anziché distruggerlo completamente (Autor, 2015). Il World Economic Forum (2020) evidenzia che, entro pochi anni, l’IA e l’automazione creeranno milioni di nuovi posti di lavoro, specialmente in aree ad alta intensità di conoscenza (data science, project management avanzato, ecc.), ma ne renderanno superflui altrettanti in ambiti più semplici e ripetitivi.

Per i manager, ciò si traduce in un’esigenza di riqualificazione (reskilling e upskilling), volta a sviluppare competenze che l’IA non è ancora in grado di replicare facilmente:

  • Leadership empatica: la capacità di interagire con le persone e motivarle, tenendo conto di dinamiche emotive e relazionali (Goleman, Boyatzis & McKee, 2002).
  • Creatività e innovazione strategica: la dote di immaginare soluzioni fuori dagli schemi e di cogliere opportunità di mercato.
  • Pensiero critico e problem solving complesso: saper affrontare situazioni non strutturate che richiedono interpretazioni multiple e decisioni incerte.
  • Gestione del cambiamento: saper orchestrare trasformazioni organizzative, allineando team e stakeholders, spiegando la “vision” e affrontando le resistenze interne (Kotter, 1996).

Conclusioni

L’avvento dell’Intelligenza Artificiale in ambito aziendale pone sfide che vanno oltre la semplice sostituzione di mansioni ripetitive. Se, da un lato, il manager “funzionale” – colui che si limita a eseguire istruzioni senza iniziativa – può essere facilmente sostituito da un software ben progettato, dall’altro lato il “buon manager” e il “grande manager” restano figure che, per ora, conservano un vantaggio competitivo. Tuttavia, anche questi ruoli potrebbero mutare radicalmente, qualora l’IA arrivasse a gestire in modo ancora più sofisticato le dinamiche decisionali interne all’azienda.

È bene ricordare che la tecnologia, di per sé, non è né buona né cattiva, ma il suo impatto dipende fortemente dal contesto e dal modo in cui viene implementata. Ancora una volta, le innovazioni rischiano di “fare danno” soprattutto alle fasce meno competenti della forza lavoro, lasciando spazio a chi possiede competenze di più alto livello e, soprattutto, un’umanità che la macchina non può replicare.

Nel prossimo futuro, anziché chiederci se “ne resterà solo uno” tra manager e IA, dovremmo forse interrogarci su come manager e IA possano collaborare in modo sinergico. È la capacità umana di immaginare, di relazionarsi e di attribuire significato a dati e informazioni che può fare la differenza. In quest’ottica, la sfida è formare e valorizzare figure manageriali in grado di integrare i potenti strumenti che l’IA mette a disposizione, senza diventarne meri esecutori.

Infine, è fondamentale non dimenticare che:

Per il manager che vuole soluzioni e non problemi

“A manager that is not a proactive part of the solution is part of the problem.”


Riferimenti bibliografici

  • Agrawal, A., Gans, J., & Goldfarb, A. (2018). Prediction Machines: The Simple Economics of Artificial Intelligence. Harvard Business Review Press.
  • Autor, D. H. (2015). Why Are There Still So Many Jobs? The History and Future of Workplace Automation. Journal of Economic Perspectives, 29(3), 3–30.
  • Bass, B. M., & Avolio, B. J. (1993). Transformational Leadership and Organizational Culture. Public Administration Quarterly, 17(1), 112–121.
  • Brown, T. et al. (2020). Language Models are Few-Shot Learners. Advances in Neural Information Processing Systems (NeurIPS).
  • Brynjolfsson, E., & McAfee, A. (2014). The Second Machine Age: Work, Progress, and Prosperity in a Time of Brilliant Technologies. W. W. Norton & Company.
  • Davenport, T. H., & Kirby, J. (2016). Only Humans Need Apply: Winners and Losers in the Age of Smart Machines. Harper Business.
  • Fayol, H. (1949). General and Industrial Management. Sir Isaac Pitman & Sons.
  • Goleman, D., Boyatzis, R., & McKee, A. (2002). Primal Leadership: Realizing the Power of Emotional Intelligence. Harvard Business Press.
  • Harvard Business Review (2019). Artificial Intelligence for the Real World. Harvard Business Review, 97(1), 108–116.
  • Kotter, J. P. (1990). A Force for Change: How Leadership Differs from Management. Free Press.
  • Kotter, J. P. (1996). Leading Change. Harvard Business Review Press.
  • Mintzberg, H. (1973). The Nature of Managerial Work. Harper & Row.
  • Shrestha, Y. R., Ben-Menahem, S. M., & von Krogh, G. (2019). Organizational Decision-Making Structures in the Age of Artificial Intelligence. California Management Review, 61(4), 66–83.
  • van der Aalst, W. M. P., Bichler, M., & Heinzl, A. (2018). Robotic Process Automation. Business & Information Systems Engineering, 60(4), 269–272.
  • World Economic Forum (2020). The Future of Jobs Report. Ginevra: WEF.

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