Una volta tanto invece di finire dal blog a twitter faccio il percorso inverso ed uso un thread su twitter che ho scritto per svilupparlo un poco nel blog.
Ultimamente si parla molto delle misure del governo inerenti la disponibilità e modalità di pagamento, in particolare della possibilità data ai negozianti di rifiutare i micropagamenti via carta di credito o bancomat (fino ad un tetto di 60 euro) e di alzare la quota ammissibile di pagamenti in contanti fino ad un tetto di 5000 euro.
La discussione, nel suo complesso, richiede ovviamente competenze maggiori di quelle che ho (per fortuna gli italiani, tranne me, invece sono tutti economisti, sociologi, allenatori, costituzionalisti, virologi etc, etc) , e quindi non entrerò nel merito di considerazioni di microeconomia o economia sociale che possano andare a favore o contro della decisione, ma mi soffermerò su alcuni punti salienti della discussione che vedo in giro e che, a mio umile giudizio, non contribuiscono a chiarire i termini della questione.
Va fatta una premessa, le transazioni elettroniche sono facilmente tracciabili e quindi sono uno strumento prezioso nella lotta all’evasione ed al nero. Da qui a richiesta europea di associare al PNRR vincoli che andassero ad incidere sulla evasione (che indirettamente dovrebbe portare alla diminuzione del disavanzo). Purtroppo l’attenzione che si sviluppa anche sui mainstream media in merito è decisamente errata dal punto di vista tecnico.
Evado o non evado, questo è il dilemma
Gran parte della discussione legata ad entrambe le decisioni sono incentrate su 2 argomenti che trovo, nel complesso della gestione del discorso, usati in maniera non corretta ed in alcuni casi sopratutto sul lato dei vincoli legati alla accettazione del POS, pretestuosi.
I due argomenti sono l’evasione e la libertà
L’evasione
Una buona fetta della discussione inerente sia il tetto alle transazioni al contante che alla obbligatoria accettazione dell’uso del PoS anche per micropagamenti riguarda l’evasione.
Ora occorre fare innanzi tutto chiarezza su un paio di punti: il fenomeno della evasione da parte dei fornitori di servizi o di esercenti è abbastanza indipendente dai vincoli di cui si discute. Laddove vi sia evasione questa avviene indipendentemente da tali limiti e obbliga chi “vende” ad alterare la contabilità, cui è soggetto.
Le transazioni in nero, quindi, sono fuori da questo ambito e vi rimangono. Quello che, eventualmente, potrebbe essere più facile per il commerciante al dettaglio è la microevasione. ma il non battere uno scontrino da pochi euro non credo sia l’obiettivo della lotta all’evasione ne la transazione elettronica sarebbe di aiuto.
Poco interessante risulta anche la questione dei costi inerenti i pagamenti con mezzi elettronici. Al di la dei racconti che circolano la realtà è che il pagamento elettronico risulta persino più economico della gestione del contante e laddove le “commissioni” fossero un problema non è certo disincentivando i pagamenti elettronici che si migliora la cosa.
La idea che la categoria dei commercio sia, per altro, intrinsecamente legata alla evasione è tutta da dimostrare, ma in particolare la transazione elettronica dei micropagamenti non indirizzerebbe il problema.
In realtà, in termini di ricerca della evasione il problema della micro-evasione non è nel negoziante, che assumo emetta scontrino, ma nella fonte del contante dell’acquirente, questa si non tracciabile.
Le forme di pagamento diretto sono, lato commerciante, tracciabili in quanto quest’ultimo che è tenuto ad una contabilità che limita le vie evasive o elusive.
Al contrario le transazioni in contanti non sono tracciabili lato acquirente, visto che lo scontrino non è nominativo non c’è modo di associare il flusso di denaro che ha permesso l’acquisto a meno che non si sia in presenza della transazione.
Comprato un bene e pagato, finisce la possibilità di valutare da dove provenga il denaro usato per la transazione che, invece, il commerciante deve tracciare nei libri contabili.
Quando parliamo della necessità di tracciare i passaggi di denaro associati al rischio evasione, il riferimento dovrebbe esser messo su chi usa contanti per i pagamenti, di cui risulta quasi impossibile la tracciabilità e non sui commercianti. Siano questi soldi provenienti da lavoro legittimo, elusione, evasione, lavoro nero o profitti illeciti diventa difficile tracciare la fonte.
Pagare in contanti, quindi, non nasconde la attività del commerciante, ma permette all’acquirente di rimanere “invisibile” alla transazione.
Le transazioni digitali invece lasciano una traccia associabile all’acquirente in quanto nominative, da qui la possibilità di tracciare la fonte del denaro usato nella acquisizione di beni o servizi.
Se il rischio di microevasione quindi dei pagamenti in contanti non è associabile solo a chi vende beni o servizi, che sono comunque in qualche modo misurabili attraverso la contabilità, questo è maggiore se consideriamo chi effettua acquisti.
In quest’ottica sopratutto l’innalzamento del tetto di uso del contante abbassa la possibilità di tracciare possibili evasioni in maniera oggettiva, mentre la possibilità di rifiutare pagamenti POS per microtransazioni risulta poco utile in termini di monitoraggio.
Il tradeoff tra l’aumento della non rintracciabilità delle transazioni economiche legate a tale innalzamento (quindi legate percentualmente a potenziale evasione) e le presunte positive ricadute economiche non è argomento su cui ho elementi di analisi e lo lascio quindi ai tifosi dell’una o altra parte
Per quello che concerne i micropagamenti mi risulta ancora più difficile riscontrare ragioni tali per cui questa sia una scelta premiante dal punto di vista fiscale, ma ne parliamo nel prossimo punto.
La libertà
Curiosamente se, errando, per l’evasione la attenzione è rivolta al commerciante, altrettanto erroneamente si rivolge l’attenzione per questioni di presunta “libertà” verso l’acquirente:
“perchè volete vietarmi di pagare in contanti?”
“io non voglio essere tracciato”
“quello che compro sono fatti miei”,
Sono tutte grida associate alle considerazioni di libertà associate sia all’uso piu o meno obbligatoria del POS che all’innalzamento del contante.
La questione, messa in questi termini, è chiaramente inconsistente per diverse ragioni, vediamone alcune.
Abolire l’obbligo di accettare pagamenti PoS sotto i 60 euro non inficia in alcun modo la possibilità che c’è sempre stata di pagare in contanti. La idea che tale innalzamento restituisca all’utente una capacità di pagamento prima negata è semplicemente assurdo in quanto in italia non c’è mai stato un vincolo obbligatorio di uso dei sistemi elettronici per i micropagamenti. è vero esattamente il contrario, si è dovuto legiferare per permettere a chi voleva pagare con mezzi elettronici la possibilità di farlo.
Se si parla di costrizione delle libertà, quindi, eventualmente è a danno di chi vuole usare la carta e non di chi vuole usare il contante.
Le grida sui sostenitori del pagamento in contanti risultano quindi abbastanza ridicole oltre che inconsistenti, per tacer di chi prova piacere ad andare al bancomat, o allo sportello di banca a prelevare contanti, per finire di chi sente il bisogno (patologico per altro) di essere in contatto diretto col denaro.
La unica obiezione sensata sarebbe la impraticabilità economica della gestione dei micropagamenti da parte dei commercianti, ma come si diceva prima, questa questione non si risolve certo in questo modo.
SI apre quindi un problema legato alla fornitura di servizi ed al loro pagamento che risulta discriminatorio per chi preferisce il pagamento elettronico (sono uno di quelli) e si introduce una distorsione del mercato di cui non si capisce la virtù.
La questione sarebbe, comunque, risibile se fosse lasciata allo sviluppo naturale delle modalità di commercio. Laddove il commerciante iniziasse a sentire che il non accettare pagamenti POS potrebbe comportare un abbassamento del giro di affari vi sarebbe una apertura verso tali modalità. I termini competitivi del mercato quindi potrebbero indirizzare e correggere eventuali distorsioni, se non con la eccezione di alcuni compartimenti particolari come quelli legati ai taxi.
La questione dei taxi è un nodo dolente che, per altro, ci contraddistingue in europa. Chiunque abbia un minimo di esperienza all’estero sa che in molti paesi prendere un taxi e pagare con carta è la norma, da noi sembra essere ancora un esercizio difficile e mal digerito dalla categoria. Categoria per altro affetta da ben altre problematiche ben piu serie, come ad esempio il costo ed il numero delle licenze.
In questo caso una valutazione in merito alla fruibilità del servizio sarebbe più che giustificabile a fronte anche dei malumori della categoria.
Rimane l’obbligo di pagamento elettronico sopra una certa cifra, in questo caso vi è si una contrazione di un certo grado della libertà individuale che però serve a correggere comportamenti lesivi della comunità. Riduzione che non preclude la capacità di acquisto ma ne vincola le modalità, un vincolo olonomo che comunque non pregiudica l’esercizio del diritto del soggetto di comprare quello che vuole nei termini consentiti dai vincoli imposti dalla legge.
Un altro cinema è invece legato alla tracciabilità: non volere che il “governo” (entità alquanto astratta in tali ragionamenti) sappia tutto quello che faccio.
Esisterebbe un fantomatico anelito libertario che porterebbe a voler rinunciare alle forme di pagamento elettronico in nome di una ipotetica invisibilità al sistema.
Curiosamente queste grida vengono da chi usa cellulari e social media per comunicare, e già qui si potrebbero chiudere le questioni.
In realtà la questione è ben più seria e limitarla ai pagamenti elettronici è semplicemente ottuso. La questione del tracciamento delle nostre attività appartiene, infatti, ad un dominio molto più ampio di cui, paradossalmente, l’uso delle transazioni elettroniche legate ai micropagamenti è largamente ininfluente.
Invece che presentare sterili battaglie sul tracciamento dei POS sarebbe opportuno mettersi a discutere più seriamente di quali siano i dati che lasciamo in giro e come questi vengano usati e gestiti, ivi compreso dai governi e dalle istituzioni pubbliche. Il millantato rischio di cui spesso si legge di “ricatto” informatico una volta che tutti i pagamenti siano legati al POS è in realtà già largamente utilizzabile in altri ambiti molto più efficaci. La nostra dipendenza da una, mal disegnata, digitalizzazione è infatti molto più ampia di quello che molti percepiscono.
Non per colpa, ma spesso per non conoscenza dei termini tecnologici di cui si parla.
Conclusione
Sarebbe carino, “semel in anno“, che su questioni cosi strettamente tecniche si instaurasse una discussione non ideologica ma concreta. Sicuramente non su Twitter, ove la concretezza è, nella maggior parte dei casi, mera chimera, ma almeno su canali più tradizionali. Purtroppo mancano gli elementi su cui fare valutazioni concrete e spesso il punto di vista presentato presenta evidenti falle logiche e concettuali che impediscono un fruttuoso confronto.
Il risultato è che si parla di POS come del Grafene nei sieri o della forma della terra.
Vedo il lato positivo, molti commenti sono esilaranti 🤣
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