January 16, 2025
Potevo inizire l’anno con un post tecnico, uno simpatico, uno intelligente, ed invece … mi ritrovo a dover commentare i rumors di nuovi deliri educativi per andare ad azzoppare la già disastrata scuola italica.
https://www.repubblica.it/cronaca/2025/01/15/news/scuola_riforma_valditara-423940321
Intendiamoci, non ho nulla contro lo studio del latino (o delle lingue classiche) in sé. Come molti, riconosco l’importanza storica e culturale del latino, della sua logica rigorosa e della sua utilità nel comprendere la nostra eredità culturale. Tuttavia, c’è una domanda che continua a frullarmi nella testa: è davvero questo lo strumento per affrontare il dilagante impoverimento linguistico degli italiani? Oppure è un modo elegante per evitare problemi più urgenti e complessi? Ogni età evolutiva ha le sue esigenza, siamo certi che certe scelte indicate per elementari e medie abbiano un senso?
Latino contro l’analfabetismo funzionale: davvero?
È vero che lo studio del latino può sviluppare capacità analitiche, ma mi chiedo quanto questo possa incidere su un paese dove più di un terzo della popolazione si colloca nella fascia 1 delle competenze OCSE: quella in cui leggere un foglio illustrativo di un medicinale è una sfida degna di Ercole. E non parliamo di Cicerone.
È altrettanto vero che il latino può arricchire il lessico, ma ciò che vediamo oggi è che anche chi parla italiano corrente spesso scambia “piuttosto che” con un sinonimo di “oppure”. In questo contesto, è davvero prioritario concentrarsi sulla traduzione delle frasi di Cesare o non sarebbe meglio insegnare agli studenti come distinguere una fake news da un’informazione valida? E, già che ci siamo, non sarebbe il caso di insegnare anche la retorica (l’arte del dire) e a scrivere decentemente, per migliorare le tragicomiche competenze linguistiche degli italiani?
La Bibbia a scuola: mitologia o storia sacra?
Un’altra novità è l’introduzione dello studio della Bibbia, presentata come un testo culturale e fondativo. Nulla da eccepire sullo studio di testi che hanno plasmato la civiltà occidentale, ma… siamo sicuri che verrà fatta la giusta contestualizzazione storica e critica? O dobbiamo aspettarci un programma scolastico che suggerisca che Noè è stato il primo ingegnere navale dell’umanità? Consideriamo l’età degli scolari considerati.
Capisco che Valditara & Co. fatichino a concepire che possano esistere persone per bene non cattoliche. Eppure, il nostro mondo è ricco di culture, religioni e visioni del mondo. Se si vuole davvero studiare la Bibbia come fenomeno culturale, sarebbe necessario includerla in un’analisi storica e comparata con altri testi fondativi europei, come i miti greci, il “Kalevala” finlandese o le saghe norrene, che hanno modellato le tradizioni germaniche e scandinave. L’epica celtica, con le sue leggende su Cú Chulainn o il ciclo arturiano, è altrettanto rilevante per comprendere l’identità europea.
Ma non possiamo fermarci qui. Per una vera prospettiva globale, dovremmo includere testi sacri e mitologici come il Bhagavad Gita indiano, il Tripitaka del buddhismo, il Tao Te Ching della tradizione cinese, il Corano, il Talmud, o persino le storie della Mitologia Yoruba dall’Africa occidentale. Ogni cultura offre una chiave unica per comprendere l’umanità e le sue infinite sfaccettature. Sarebbe un peccato limitarsi a una visione ristretta, specialmente in un mondo sempre più interconnesso.
In termini culturali, lo studio dei classici latini (e magari greci) offrirebbe un approccio più ampio e laico. Ma chissà, forse il problema è proprio quello: mantenere un approccio laico.
“Storia vera” e “Storia d’Italia”: propaganda o didattica?
E ora veniamo all’altisonante obiettivo di insegnare la “storia vera” o la “storia d’Italia”. La domanda sorge spontanea: prima cosa si insegnava, allora? La “storia falsa”? Certo, per chi non conosce la storia o la vede attraverso le lenti della propria propaganda — politica, religiosa o entrambe — ogni approccio diverso è pericoloso.
Ma la vera perplessità è un’altra: perché questa urgenza di riscrivere programmi scolastici non include temi come i rischi della digitalizzazione, l’interpretazione delle basi minime di economia o un’infarinatura di diritto? Sviluppare competenze critiche per affrontare la complessità del mondo contemporaneo dovrebbe essere la priorità di qualsiasi sistema educativo.
Analisi dei problemi e competenze critiche: le vere urgenze
Nel mondo moderno, la capacità di analizzare i problemi è una competenza essenziale. Tuttavia, pare che si stia facendo di tutto per evitare che gli studenti sviluppino questa abilità cruciale. Con l’uso crescente di dispositivi digitali — persino tra i bambini delle scuole elementari, che spesso hanno già uno smartphone in tasca — non fornire loro basi solide sulla sicurezza informatica è semplicemente irresponsabile.
La sicurezza informatica non è solo un tema tecnico, ma un fondamento per la cittadinanza consapevole. Senza una conoscenza minima di come proteggersi online, gli studenti sono esposti a rischi enormi, dalle truffe digitali alla disinformazione. Eppure, questi temi restano relegati a un ruolo marginale nei programmi scolastici.
A questo si aggiunge la mancanza di una seria educazione civica. Comprendere la Costituzione, conoscere il funzionamento dell’ordinamento giuridico e avere una base di diritto sono strumenti imprescindibili per orientarsi in una società complessa. Senza queste conoscenze, come possiamo aspettarci che le future generazioni siano in grado di difendere i propri diritti o di comprendere il ruolo delle istituzioni?
Valditara: maestro di ignoranza strategica?
È difficile non sospettare che l’obiettivo non sia creare cittadini con senso critico, ma piuttosto mantenere stabile la percentuale di italiani nella fascia 1 delle competenze OCSE e, magari, ridurre ulteriormente quel fastidioso 5% che si colloca nelle fasce 4 e 5. Del resto, cittadini consapevoli e informati sono difficili da manipolare.
Per fortuna, possiamo contare sul Liceo del “Made in Italy”, dove si formeranno esperti di prosciutti e borse griffate, anziché ingegneri o scienziati. E se aggiungiamo dichiarazioni come quella sui dinosauri che occupano troppo spazio nei programmi scolastici, il quadro è completo: un sistema educativo che guarda al passato remoto (letteralmente) mentre ignora il futuro prossimo.
Scarso approccio critico e digitalizzazione: una combo letale
Come ho scritto tempo fa nel mio articolo “Atti di fede razionale” (già tutto cambia per rimanere uguale), la capacità di distinguere le fonti affidabili è cruciale in un’epoca di disinformazione. Insegnare agli studenti a usare strumenti critici per navigare nei social media e nelle informazioni digitali dovrebbe essere un pilastro dell’educazione moderna. Invece, sembra che l’obiettivo sia disarmarli completamente di fronte a un futuro sempre più complesso.
Conclusioni: dinosauri, Bibbia e propaganda
La domanda fondamentale è: vogliamo un sistema educativo che aiuti i giovani a sviluppare un senso critico e ad affrontare la complessità del reale? Oppure preferiamo educarli a essere spettatori passivi di una narrativa decisa da chi detiene il potere?
Se la risposta è la seconda, allora la strada è giusta. E chissà, forse un giorno anche i dinosauri, nel loro estremo sacrificio, si rialzeranno per applaudire. O almeno quelli che ancora trovano spazio nei programmi scolastici.
Nota:
Per chiarezza e contestualizzazione (e per evitare che qualcuno scambi questi termini per nomi di cocktail esotici), ecco una breve spiegazione dei riferimenti culturali e religiosi menzionati nell’articolo:
- La Bibbia: Non serve presentarla troppo: è quel bestseller millenario diviso in Antico e Nuovo Testamento. Fondamentale per la cultura occidentale, con una trama che spazia dalla creazione del mondo a un’apocalisse con tanto di cavalieri.
- Il Corano: Testo sacro dell’Islam, scritto in arabo. Si potrebbe dire che è il manuale per eccellenza per milioni di fedeli, pieno di insegnamenti, ma senza spoiler!
- Il Talmud: Una raccolta di saggezza rabbinica e discussioni teologiche. Pensate a un enorme gruppo WhatsApp rabbinico, ma senza GIF di gattini.
- Bhagavad Gita: Parte del poema epico Mahabharata. È un mix tra un dialogo filosofico e un consiglio motivazionale per guerrieri indecisi.
- Tripitaka: Conosciuto anche come “Le tre ceste”, il canone buddhista racchiude insegnamenti che vanno dalla meditazione alla disciplina monastica. E no, non ha nulla a che fare con le ceste della spesa.
- Tao Te Ching: Il manuale di filosofia taoista scritto da Laozi. Parla di equilibrio, armonia e di come sopravvivere senza farsi travolgere dalla frenesia della vita. Spoiler: niente app per la mindfulness!
- Kalevala: Una raccolta epica finlandese piena di magie, eroi e poemi. Il tutto condito da un’atmosfera che potremmo definire “nordica e nevosa”.
- Mitologia Yoruba: Un universo ricchissimo di divinità e miti africani, ancora influente nelle culture afro-diasporiche come quelle brasiliane e cubane. Gli Orisha meritano una standing ovation.
Retorica: Termine spesso usato come sinonimo di “chiacchiere inutili”, ma in realtà è l’arte del dire bene, del convincere e, nei casi migliori, di non annoiare. Gli antichi greci la usavano per filosofare, i politici moderni per confonderci.
Piuttosto che: Una congiunzione usata correttamente quando si vuole indicare una preferenza (“meglio studiare che far confusione”), ma ormai ridotta a un confuso sinonimo di “oppure” da chi pensa che l’italiano sia opzionale.
Oppure: Congiunzione disgiuntiva semplice e diretta, usata per indicare alternative. Ma se la trasformiamo in “piuttosto che”, ci ritroviamo a scambiare “o questo o quello” per “tutto insieme”. Effetti collaterali: confusione totale e grammatiche che piangono.
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Latino, Bibbia e storia “vera”, le poesie a memoria ma senza i dinosauri by The Puchi Herald Magazine is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International License.