Antonio Ieranò
Security, Data Protection, Privacy. Comments are on my own unique responsibility 🙂
Il discepolo, spirito fervente e ansioso di illuminarsi alla fonte della conoscenza, si accostò al Maestro, i cui insegnamenti lo avevano sempre condotto su sentieri di sapienza e comprensione. Negli ultimi tempi, tuttavia, si era smarrito tra le intricate trame della regolamentazione europea sulla sicurezza informatica. Ogni articolo di legge gli pareva un labirinto, ogni norma un intralcio alla chiarezza. Con la mente appesantita da una montagna di leggi che sembravano dire molto e nulla al tempo stesso, il discepolo sentiva il bisogno di una guida. E chi meglio del Maestro, con la sua saggezza forgiata dal tempo, avrebbe potuto dissipare quella nube di confusione? Il giovane si fece avanti, il cuore colmo di domande, pronto a ricevere l’insegnamento supremo. Il suo discorso, però, non poteva essere lineare: era arzigogolato, carico di parole auliche, come se volesse dimostrare, almeno con il linguaggio, di aver compreso la complessità della materia. Il Maestro, invece, lo accolse con la serenità di chi sa che la verità non risiede nei giri di parole, ma nella limpidezza del pensiero.
Discepolo: “Maestro venerato, a te, la cui sapienza si erge come una torre su questo mare di ignoranza in cui mi trovo ad annaspare, mi rivolgo con umiltà e deferenza. Mi prostro dinanzi alla tua conoscenza in cerca di una luce che possa dissipare le ombre della mia incertezza. Di fronte a me si dispiega un universo normativo complesso e, oserei dire, ridondante. L’Unione Europea, che dovrebbe agire come un faro di chiarezza e rigore, sembra essersi impelagata in una sovrapposizione normativa senza fine, come un serpente che si morde la coda. Regolamenti che si intrecciano, leggi che ribadiscono ciò che è già consolidato, procedure che impongono ovvietà… Maestro, è forse colpa della frettolosa avidità dei legislatori, o della negligenza di coloro che, pur dovendo sapere come costruire sistemi sicuri, ignorano tali responsabilità per occuparsi di futilità manageriali? Non è forse un tradimento del vero sapere quando si creano leggi che non aggiungono nulla alla sostanza, approfittando della colpevole ignoranza di chi dovrebbe difendere il bene comune? Qual è, dunque, la causa di questo marasma legislativo che, lungi dal garantire sicurezza, ne compromette l’essenza stessa?”
Maestro (con un leggero sorriso sulle labbra, quasi divertito dalla complessità verbale del discepolo): “Discepolo mio, vedo che ti sei perso nei meandri delle parole, proprio come molti si perdono nel labirinto delle norme. Ma non temere, poiché ciò che sembri complicato spesso è solo una cortina fumogena innalzata da coloro che non vogliono — o non sanno — vedere le cose come sono realmente. Ora, siediti e ascolta. La tua domanda è giusta, anche se avvolta da troppi giri di parole. Mi chiedi se la colpa sia dei legislatori, di chi fa le norme, o di chi dovrebbe sapere come costruire sistemi sicuri ma si preoccupa di altre cose. La risposta, mio caro, è che la colpa è di entrambi, e in modi diversi.”
Discepolo (sedendosi con attenzione, pronto a ricevere la saggezza del Maestro): “Ti prego, Maestro, illuminami con la tua verità.”
Maestro (con tono calmo e sicuro, come chi conosce a fondo il tema): “Vedi, giovane discepolo, da un lato abbiamo coloro che dovrebbero sapere, che dovrebbero essere i veri custodi della sicurezza informatica. Parlo dei tecnici, dei manager IT, degli ingegneri. Questi dovrebbero sapere come costruire sistemi sicuri, come progettare architetture che non solo funzionano, ma che resistono agli attacchi. Eppure, spesso non si preoccupano di farlo. Perché? Perché sono affaccendati in altre faccende, come dici tu. Il mondo delle aziende è pieno di distrazioni: meeting infiniti, report da presentare, obiettivi trimestrali da raggiungere. E la sicurezza? Ah, quella è vista come un problema per il futuro, non per il presente. La sicurezza non porta immediati profitti, non fa brillare gli occhi degli investitori. Così, molti di quelli che dovrebbero sapere e agire preferiscono chiudere un occhio, rimandare, sperare che il problema non si presenti mai. E se il problema arriva, beh, allora sarà colpa di qualcun altro.”
Discepolo (con occhi spalancati, come se stesse vedendo la verità per la prima volta): “Quindi, Maestro, coloro che dovrebbero sapere, evitano di agire per convenienza?”
Maestro (annuisce con gravità): “Esattamente, discepolo. Non è che non sappiano. Sanno, ma non vogliono affrontare la questione. E così, lasciano che il tempo scorra, sperando che il problema si risolva da solo o che qualcuno, da qualche parte, scriva una nuova norma che li obblighi a fare ciò che già sanno di dover fare. E qui entra in gioco il legislatore. Ah, il legislatore… colui che si guadagna da vivere normando l’ovvio. Egli si presenta come il salvatore, come colui che metterà ordine nel caos della sicurezza informatica. E cosa fa? Scrive norme su norme, leggi su leggi, regolamenti che spesso non aggiungono nulla di nuovo, ma che si limitano a ripetere ciò che già era chiaro. Perché lo fa? Perché il legislatore vive di questo, di carta e parole. Normare è il suo mestiere, e non importa se ciò che normano è già noto o se le loro leggi sono solo una riformulazione di concetti che tecnici e ingegneri conoscono da decenni.”
Discepolo (confuso, ma desideroso di capire di più): “Maestro, come è possibile che queste leggi continuino a proliferare senza che nessuno intervenga? Non ci sono esperti che possano guidare il legislatore verso una vera comprensione della materia?”
Maestro (sorridendo con una certa tristezza): “Ah, qui sta il problema più grande. Gli esperti, i veri esperti, spesso non parlano. Sono troppo presi dal loro lavoro, dalle loro ricerche, dai loro server e firewall. Non amano il mondo della politica e delle leggi, lo trovano estraneo, distante. E così lasciano il campo a coloro che parlano senza sapere. E chi sono costoro? Manager che leggono una presentazione e pensano di sapere tutto. Giornalisti che devono scrivere un articolo in fretta e semplificano tutto in titoli e frasi ad effetto. Divulgatori che parlano a un pubblico che non vuole sentir parlare di complessità. E il legislatore, che approfitta di tutto questo, scrive nuove norme per un pubblico che non capisce davvero il problema.”
Discepolo (sempre più turbato): “Ma Maestro, non è questo un tradimento del sapere stesso? Non dovrebbero quelli che parlano essere anche quelli che sanno?”
Maestro (con tono fermo, ma pacato): “In un mondo ideale, sì, discepolo mio. Ma il nostro non è un mondo ideale. Qui, chi parla spesso non sa, e chi sa spesso tace. È un ciclo antico, come ti dicevo. Platone ne parlava nei suoi dialoghi, quando descriveva la distanza tra i filosofi, che conoscono la verità, e i politici, che usano le parole per ottenere il potere. Oggi non è diverso. I legislatori, i manager, i giornalisti… tutti parlano. Ma chi di loro ha mai costruito un sistema sicuro? Chi di loro ha mai messo mano a un codice, a una rete, a un’infrastruttura informatica? Pochi, molto pochi. Eppure sono loro a decidere. E i veri esperti, coloro che saprebbero davvero cosa fare, si ritirano in disparte, silenziosi, mentre il circo continua.”
Discepolo (con voce carica di rassegnazione): “Quindi, Maestro, è un ciclo senza fine? Dobbiamo arrenderci a questa mediocrità?”
Maestro (con uno sguardo serio, ma non disperato): “Non arrenderti, discepolo mio. Il primo passo per spezzare questo ciclo è la consapevolezza. Riconoscere che chi parla non sempre sa, e che chi sa non sempre parla. Ma non basta. Coloro che possiedono la conoscenza devono assumersi la responsabilità di difenderla, di spiegarla, di parlare quando è necessario. Non possiamo più lasciare che siano i mediocri a decidere. Dobbiamo fare in modo che la vera competenza guidi il dibattito. E questo richiede coraggio. Il coraggio di entrare nel mondo della politica, della legge, della comunicazione, anche quando preferiremmo restare nel silenzio del nostro lavoro tecnico. Solo così, mio giovane discepolo, potremo spezzare questo ciclo di ignoranza e di leggi ridondanti.”
Discepolo (con rinnovata speranza): “Capisco, Maestro. Dobbiamo agire. Dobbiamo essere noi, quelli che sanno, a prendere la parola e a guidare il cambiamento.”
Maestro (con un leggero sorriso di approvazione): “Esattamente, discepolo. E ricorda, la conoscenza è una responsabilità. Non basta possederla, bisogna usarla per il bene comune. Solo allora potremo davvero costruire un mondo più sicuro, dove le norme non siano solo un fardello, ma uno strumento di protezione reale e concreta.”
Maestro (con voce più bassa, quasi per sé stesso, mentre volge lo sguardo verso l’orizzonte): “Ah, discepolo mio, quante volte ho sollevato la voce contro l’insensatezza di questo groviglio normativo. Ricordo ancora le mie invettive contro l’agicomica, quel progetto di regolamentazione che avrebbe dovuto arginare la pirateria digitale ma che non fece altro che moltiplicare le procedure e gli oneri inutili. E chi potrebbe mai dimenticare il fallimentare PiracyShield, descritto con grandi ambizioni, di fatto strumento di censura ed incompetenza digitale?”
Discepolo (ascoltando in silenzio, consapevole che le parole del Maestro racchiudevano anni di esperienza e frustrazione).
Maestro (con tono ancora più grave, il volto segnato dalla memoria di lotte passate): “E poi il Garante, con la sua famosa regola dei 7 giorni, e le scadenze impossibili per rispondere a violazioni di sicurezza. E le sovrapposizioni delle norme europee, che ho denunciato più e più volte, vedendole crescere come edera su un muro già pieno di crepe. Norme che si intersecano, si accavallano, si contraddicono. Tutte enunciate con grande solennità, ma applicate senza il minimo buon senso.”
Discepolo (quasi sospirando con il Maestro, assorbendo il peso di queste riflessioni): “Maestro, cosa possiamo fare in un mondo così sovraccarico di regole che non funzionano?”
Maestro (mormorando, come se stesse parlando con lo stesso vento che soffiava sull’orizzonte): “Verba volant, sed scripta manent… Le parole volano, ma gli scritti rimangono. Lascia che le norme restino immobili, come pietre nel fango della burocrazia. Lascia che siano carta dimenticata, se necessario. Ma fa volare il verbo, discepolo. Fa in modo che le parole raggiungano gli uomini di buona fede. Parla loro di sapere, di verità, di come la sicurezza non è nelle righe di un regolamento, ma nella mente e nelle mani di chi conosce il mestiere. Solo così, con la forza della parola, potremo convertire gli uomini di buona fede, e portarli a vedere la luce del sapere.”
Discepolo (colpito da quelle parole, con un nuovo senso di missione nel cuore): “Allora, Maestro, dobbiamo far volare il verbo. Dobbiamo essere la voce del sapere, affinché la conoscenza possa prevalere sulle ombre dell’ignoranza.”
Maestro (annuendo, con un ultimo sguardo all’orizzonte): “Sì, discepolo mio. Il sapere deve volare, non deve restare imprigionato nelle pieghe della burocrazia. Le norme rimarranno, inerti, ferme, ma è il verbo che dobbiamo far viaggiare, affinché tocchi le menti aperte e porti nuova luce. È questo il nostro compito: non abbatterci per la complessità, ma superarla con la conoscenza. Ora, vai. Fa in modo che il verbo voli, e che gli uomini di buona fede, ovunque siano, possano ascoltarlo.”
Discepolo (alzandosi, con nuovo vigore e determinazione): “Grazie, Maestro. Andrò, e farò volare il verbo.”
Il discepolo si allontanò, mentre il Maestro rimase a guardare l’orizzonte, con la serenità di chi conosce il proprio cammino e sa che, per quanto complicato, ogni passo verso la verità è un passo verso la luce. ed ogni giorno che passa è un giorno in meno verso la pensione.
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Il verbo e l’ipertrofia legislativa by The Puchi Herald Magazine is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International License.
Grande Antonio! ….. semmai \”qualcuno\” avesse solo l\’umiltà per
leggerlo e avesse davvero un sano desiderio di \”fare\”……potrebbe
essere un punto di partenza.
Comunque già avere una persona che da una \”voce\” come te, apre un
varco……. complimenti ! e grazie !
*
Antonello Scano*
CEO & Founder
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Roma: Via F. Rosazza n.26, 00153 Roma (RM)
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mi sa che prima o poi mi fanno pentire di quello che scrivo, lol 😀