27 anni di AGICOMica, dalla parte di tutti tranne che della rete

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Antonio Point of View

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Storie di potere, interessi, incompetenza ed arbitrio

Antonio Ieranò

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October 27, 2024

AGCOM, un’autorità tra doveri mancati e occasioni perse

L’AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) nasce con il Decreto Legislativo n. 249 del 1997, istituita come garante della pluralità dell’informazione e della tutela dei diritti nel mondo delle telecomunicazioni. È un organo “indipendente” – o meglio, dovrebbe esserlo – incaricato di regolamentare i settori delle telecomunicazioni, della radiotelevisione e della stampa. Con il passare degli anni, la sua autorità si è estesa anche alla regolazione di internet e alla gestione dei diritti d’autore digitali. Eppure, dall’alto dei suoi vent’anni di attività, AGCOM appare oggi come un esempio di “potere senza controllo”, i cui interventi sembrano favorire chi detiene risorse e influenza, piuttosto che difendere la neutralità e la libertà della rete.

Il cammino di AGCOM è costellato da interventi controversi, norme rigide, scelte di controllo che oscillano tra il paternalismo e il paradosso. Se nelle sue origini, si ergeva con la missione nobile di tutelare i diritti dei cittadini, oggi, molte delle sue azioni sollevano questioni spinose: chi, di fatto, tutela AGCOM? E fino a che punto è davvero “indipendente”? Con PiracyShield, il suo progetto di punta per il contrasto alla pirateria digitale, AGCOM ha raggiunto forse l’apice del controllo arbitrario, portando il dibattito pubblico a un crescendo di indignazione, nonostante i suoi tentativi di liquidare ogni voce contraria come “rumore di fondo”.

In tre parti, ripercorreremo le tappe più salienti di AGCOM, esplorando come, da baluardo dell’informazione libera, si sia trasformata in una forza ostile alla neutralità della rete e, in ultima analisi, ai diritti stessi dei cittadini. Una storia fatta di interventi discutibili, leggerezza operativa, pressioni politiche e scelte di policy lontane dal senso comune.

Parte prima 1: Origini e Prime Censure – Dall’obbligo di Responsabile Editoriale ai Blocchi sui Blog (2008-2015)

Gli albori del controllo digitale: da garante a censore (2008-2010)

Ricordiamo tutti i primi giorni dei blog, quando aprire una pagina online per condividere pensieri e opinioni era una delle poche forme di espressione davvero libera. Era il momento d’oro del web, una comunità fiorente che si basava sull’autenticità, sul libero pensiero e sull’assenza di controlli. Poi, a poco a poco, arrivò l’AGCOM a spezzare l’incanto. Era il 2008, e l’autorità decise che il libero flusso di opinioni doveva essere regolamentato. Come? Inserendo un obbligo di responsabile editoriale anche per i blog, una mossa che ribaltava il concetto stesso di libertà di espressione online.

In quegli anni, AGCOM cercava di applicare la Legge n. 62 del 7 marzo 2001, che prevedeva per ogni pubblicazione periodica un responsabile legale, anche per i blog, trattandoli come vere e proprie testate giornalistiche. È l’epoca in cui l’AGI-COMANDA comincia a farsi sentire, un cambio di paradigma che trasforma i blogger in potenziali responsabili legali e soggetti a rettifiche. Per dirla con le parole di quei tempi, come ho sottolineato nel mio articolo Piracy Shield: Una Disamina Ermeneutica sulle Ombre del Controllo Digitale, AGCOM si stava già orientando verso una visione in cui la libertà di parola era concessa, ma con riserva. Come dire, una censura mascherata da tutela della pubblica opinione.

Molti blogger si sentirono più sorvegliati che espressivi, costretti a navigare in un clima di incertezza e timore per eventuali conseguenze legali. Con la censura e i vincoli normativi che diventavano sempre più diffusi, appariva evidente che la libertà digitale stesse perdendo terreno. Le critiche non tardarono ad arrivare, con interventi su testate come Wired e in blog d’opinione che denunciavano questo tentativo di soppressione delle voci libere. Si intravedeva già, in questo approccio, il preludio del ben più invasivo PiracyShield.

La Svolta del 2012: l’inizio della censura digitale e i primi blocchi IP

È tra il 2012 e il 2015 che AGCOM mette in atto il suo colpo di scena, dando il via a una serie di provvedimenti volti a bloccare i siti sospettati di violazione del copyright. Sotto l’egida della Delibera n. 680/13/CONS, AGCOM decide che è tempo di contrastare la pirateria online… a modo suo. Con uno zelo degno di miglior causa, l’autorità passa alla fase operativa: introduce il blocco degli IP e dei DNS come soluzione standard per contrastare il fenomeno. Un sistema che, come raccontato in L’AGICOM(ica) Piracy Shield de no atri, non possedeva alcun tipo di precisione chirurgica. Piuttosto, AGCOM si muove come un elefante in una cristalleria digitale, con blocchi a tappeto che colpiscono anche i servizi non pirata.

Questa tecnica del “bazooka normativo” non tardò a fare danni: molti siti web legittimi, innocenti e perfettamente legali vennero oscurati senza preavviso, senza possibilità di appello o di contraddittorio. Nel tentativo di “salvare” il copyright, AGCOM agisce da sola, conferendosi, senza timore di esagerare, il ruolo di giudice, giuria e boia digitale. Le critiche aumentarono, con numerosi articoli su testate come Wired Italia, che denunciavano la carenza di trasparenza e il rischio di censura indotta. Anche in Piracy Shield Reloaded: Più Controllo, Meno Libertà? avevo già sottolineato come AGCOM usasse la scusa della “lotta alla pirateria” come scudo per giustificare azioni di blocco che nulla avevano a che fare con l’interesse pubblico.

Per comprendere la gravità della situazione, basti pensare che AGCOM riusciva a bloccare interi segmenti IP, a volte compromettendo servizi importanti per aziende, scuole e utenti. Non esisteva, inoltre, un processo di notifica adeguato, e il contraddittorio era una chimera: le segnalazioni venivano spesso liquidate come “non pertinenti”. È in questo periodo che il concetto di “sito sospetto” diventa una taglia digitale, una definizione pericolosamente vaga che lascia l’intero potere nelle mani dell’AGCOM. Come evidenziato nel mio Ciao ciao AirVPN, grazie Piracy Shield, questo approccio minacciava anche la sopravvivenza di servizi che puntavano a garantire sicurezza e anonimato agli utenti, come i provider VPN. AirVPN, infatti, decideva di lasciare il mercato italiano, esasperata dall’impossibilità di lavorare in un contesto di blocchi arbitrari e censura a tappeto.

Il Clima di Incertezza e la Rimozione del Contraddittorio (2015-2020)

Gli anni seguenti videro un’accelerazione nell’applicazione dei blocchi. L’assenza di trasparenza, il mancato contraddittorio e la tendenza dell’AGCOM a intervenire senza consultare le parti interessate crearono un clima di incertezza tra gli utenti e gli operatori del web. A confermare questa tendenza, fu la Delibera n. 490/14/CONS, che ampliava i poteri dell’AGCOM nel bloccare gli IP. Non esistevano linee guida chiare, non venivano fornite spiegazioni esaustive, e spesso le segnalazioni venivano gestite senza fornire alcuna possibilità di replica a chi vedeva il proprio sito oscurato.

In questo clima di opacità, l’AGCOM non sentiva neppure il bisogno di giustificare le proprie azioni. La supervisione era praticamente assente, e il processo di controllo e revisione delle decisioni di blocco risultava talmente inefficiente da mettere seriamente in discussione la competenza tecnica e giuridica dell’autorità. Numerosi esperti sottolineavano come AGCOM stesse operando con logiche autoritarie e burocratiche, ignorando completamente il dialogo e la collaborazione con il pubblico. Nel mio L’AGICOMica in audizione fa del “vero” un mappazzone, avevo descritto questo sistema come un “mappazzone” di norme e decisioni sconnesse, che tentava di giustificare un potere arbitrario vestito da regolazione.

La situazione giunse al paradosso nel momento in cui AGCOM iniziò a bloccare anche servizi che fornivano accesso a contenuti legali, come quelli di Google Drive e Cloudflare, essenziali per aziende e professionisti. Una mossa che alimentò la frustrazione di operatori e utenti, innescando una serie di polemiche sui social. Su X, ad esempio, si intensificarono le critiche verso AGCOM, con commenti ironici e taglienti che ribattezzavano il sistema PiracyShield come PirlacyShield, un nomignolo che sottolineava l’incapacità dell’autorità di comprendere la complessità della rete e di adottare soluzioni realmente efficaci.

Il primo passo verso il PirlacyShield

Gli interventi iniziali di AGCOM, apparentemente volti a garantire il rispetto del copyright, si sono rivelati una serie di fallimenti sul piano della libertà digitale e della trasparenza. La decisione di applicare blocchi a tappeto senza distinzioni, l’assenza di contraddittorio e la mancanza di chiarezza nelle procedure hanno creato le fondamenta per l’attuale situazione di PiracyShield. Con il tempo, AGCOM si è trasformata da garante a censore, e la rete italiana ha iniziato a vivere sotto l’ombra di un’autorità che sembra più interessata a rispondere alle pressioni dei titolari dei diritti che a tutelare la libertà digitale.

Il racconto dell’AGCOM fino a questo punto è il preludio della sua parabola più recente, quella del PiracyShield, che non è altro che la naturale prosecuzione di un approccio che ha visto nell’arbitrio e nella poca trasparenza la sua cifra distintiva. Come nel mio Piracy Shield Reloaded: Più Controllo, Meno Libertà?, dove evidenziavo come questa autorità sembri quasi non preoccuparsi delle critiche, proseguendo imperterrita nella sua strada verso un controllo sempre più invasivo della rete.


Pressioni Politiche su AGCOM per la Regolamentazione dei Blog: il Contesto

Quando, tra il 2008 e il 2010, AGCOM inizia a mostrare un’attenzione particolare alla regolamentazione dei blog e dei contenuti online, l’Italia è governata da una coalizione di centrodestra, con Silvio Berlusconi come Presidente del Consiglio. Berlusconi, leader di Forza Italia, è una figura influente e mediatica, nota non solo per la sua impronta politica ma anche per essere proprietario di Mediaset, un conglomerato che include alcune delle maggiori emittenti televisive italiane. Questo contesto è fondamentale per comprendere le pressioni politiche che portarono AGCOM a spingere verso un maggiore controllo sui contenuti online.

In quegli anni, l’Italia vive una fase di crescente tensione politica, accentuata da una serie di scandali che vedono coinvolti politici di alto profilo, tra cui lo stesso Berlusconi. Diversi episodi di cronaca, come lo scandalo del Rubygate, iniziano a emergere grazie a rivelazioni e indiscrezioni trapelate sui media e sui blog, sollevando un’ondata di critiche e polemiche. L’effetto di queste rivelazioni è amplificato dai social media e dai blog, che iniziano a giocare un ruolo sempre più cruciale nel veicolare informazioni e opinioni scomode che raramente trovano spazio nei media tradizionali.

Incidenti e Rivelazioni che Scatenano il Controllo sui Blog

Tra il 2008 e il 2010, diverse inchieste giornalistiche e fughe di notizie riguardano politici di primo piano. Tra i casi più rilevanti vi sono:

  1. Scandali sessuali e corruzione: Accuse contro Berlusconi e altri politici per presunte relazioni con giovani donne e sospetti di corruzione diventano di dominio pubblico grazie a blog e siti di informazione indipendente. Uno dei casi più noti è proprio il Rubygate, che inizia a emergere nel 2009, alimentando un dibattito acceso sui media tradizionali ma, soprattutto, sui blog, dove la vicenda viene discussa senza riserve e con grande visibilità.
  2. Critiche alle politiche del governo: Blog e testate online indipendenti criticano duramente le politiche di austerità e di controllo sui media, evidenziando come il governo sembri voler mantenere un forte controllo sull’informazione. Questo controllo, già evidente nei canali televisivi, non riesce a estendersi con la stessa efficacia alla sfera digitale, dove i blog emergono come un nuovo e temuto veicolo di opinioni controcorrente.
  3. Indagini e inchieste su conflitti di interesse: Il conflitto di interesse di Berlusconi come capo di governo e proprietario di Mediaset è un tema costantemente discusso su blog e piattaforme indipendenti. Molti blogger e giornalisti online iniziano a parlare apertamente del rischio di censura e di soppressione delle voci critiche, sottolineando come la libertà di espressione sembri minacciata dalla presenza di un imprenditore mediatico alla guida del governo.

La Risposta Politica: Regolamentare i Blog come “Prodotti Editoriali”

Di fronte alla diffusione di notizie e commenti difficili da controllare, il governo di Berlusconi inizia a fare pressioni su AGCOM per regolamentare il panorama digitale. L’obiettivo? Far rientrare i blog e i siti web sotto l’ombrello delle pubblicazioni giornalistiche, soggette a rigide regolamentazioni. La Legge n. 62 del 7 marzo 2001, inizialmente concepita per regolamentare le testate giornalistiche e i media tradizionali, viene utilizzata come base per tentare di equiparare i blog ai prodotti editoriali, imponendo l’obbligo di avere un responsabile editoriale registrato.

Questo tipo di regolamentazione offre un controllo maggiore, poiché richiede che chiunque pubblichi contenuti online su base regolare sia soggetto agli stessi obblighi di rettifica e alle stesse responsabilità di una testata giornalistica. In sostanza, significa che i blogger devono nominare un direttore responsabile, iscritto all’Ordine dei Giornalisti, che si assume la responsabilità legale dei contenuti. Questo obbligo, che appare come una misura burocratica, ha in realtà lo scopo di limitare l’autonomia dei blog, inserendo un meccanismo di censura preventiva che permette di intervenire su contenuti critici o scomodi per il governo.

Casi di Oscuramento e Censura Preventiva: I Blog nel Mirino

A partire dal 2009, alcuni blog noti per le loro posizioni critiche iniziano a subire pressioni per rimuovere contenuti che trattano di politica o di scandali legati al governo. Non mancano gli esempi di siti web che ricevono notifiche di rettifica o che vengono temporaneamente oscurati per presunta “violazione delle norme editoriali”. Il caso di Voglioscendere, il blog gestito da Marco Travaglio e altri giornalisti noti per le loro posizioni critiche verso il governo, è emblematico: viene colpito da richieste di rettifica e rimozione di contenuti. Questo caso diventa simbolo della tensione tra libertà di espressione e controllo politico, portando a un dibattito acceso su come la regolamentazione di internet possa minacciare il pluralismo dell’informazione.

Questa politica di regolamentazione riflette, di fatto, una volontà di silenziare le voci che riportano notizie scomode o accusano di corruzione e conflitto di interessi i politici. Come ho osservato nel mio articolo Piracy Shield: Una Disamina Ermeneutica sulle Ombre del Controllo Digitale, l’intervento di AGCOM su queste tematiche ha creato un clima di paura e autocensura tra i blogger, che si sono trovati di fronte a una scelta: adattarsi o rischiare sanzioni legali.

La Spinta del Governo su AGCOM per il Controllo dell’Informazione

La pressione politica su AGCOM durante il governo Berlusconi ha rappresentato un tentativo di estendere il controllo sui media digitali, spinto dalla necessità di contrastare la “fuga di notizie” e il dissenso online. Questa pressione si è tradotta in una serie di misure che mirano a limitare la libertà di espressione, camuffate da regolamentazioni formali ma finalizzate a eliminare le voci scomode. Le normative emanate, oltre a richiedere un responsabile editoriale per i blog, hanno ampliato il concetto di responsabilità editoriale e hanno imposto l’obbligo di rettifica entro tempi brevi, equiparando i blogger agli editori di giornali e minacciando di fatto l’indipendenza dell’informazione digitale.

Come ho evidenziato nel mio articolo L’AGICOM(ica) Piracy Shield de no atri, questo clima di censura ha posto le basi per un controllo digitale che si sarebbe poi manifestato in forme più aggressive con l’introduzione di PiracyShield. In un contesto di forti tensioni politiche, AGCOM ha agito come strumento del potere, abbandonando il suo ruolo di garante dell’informazione per adottare una posizione di censore, pronta a difendere gli interessi del governo e dei suoi sostenitori.

NOTA: L’irresponsabile editoriale del blog

I requisiti per avere un direttore editoriale e le condizioni per la rimozione di contenuti da un blog, così come delineati nelle normative italiane, sono stati al centro di polemiche sin dalla loro introduzione, data la complessità e le implicazioni di tali regolamentazioni per la libertà di espressione. Sono, fondamentalmente, la ragione per cui il mio minuscolo ed insignificante blog The puchi herald è ospitato da un provider negli stati uniti

1. Requisiti per avere un Direttore Editoriale per i Blog

Secondo la Legge n. 62 del 7 marzo 2001 (Disposizioni in materia di editoria e di prodotti editoriali), ogni “prodotto editoriale” deve avere un responsabile editoriale, una figura giuridica simile a quella del direttore di un giornale, incaricata della supervisione e della responsabilità dei contenuti pubblicati. I termini specifici richiesti per rientrare in questa definizione sono:

  • Periodicità: Qualsiasi prodotto che abbia una periodicità (come giornali, riviste e anche blog che pubblicano regolarmente) è considerato “prodotto editoriale”. Ciò includeva anche i blog che pubblicavano nuovi contenuti su base regolare, indipendentemente dal fatto che fossero fonti di guadagno o meno.
  • Responsabilità legale: Il direttore o responsabile editoriale doveva essere registrato presso un tribunale italiano e risultare iscritto all’Ordine dei Giornalisti. La responsabilità legale imponeva al responsabile di rispondere dei contenuti pubblicati nel caso di accuse di diffamazione, violazione della privacy, o altri reati connessi.

Questa regolamentazione, nata per regolamentare i media tradizionali, venne applicata anche ai blog, sollevando una serie di questioni sulla libertà di espressione e sugli obblighi per i gestori dei blog.

2. Termini di Rimozione delle Informazioni da un Blog

La questione della rimozione dei contenuti da blog o siti online si collega sia alla normativa sulla diffamazione sia all’articolo 8 della legge sulla stampa (Legge n. 47/1948), che prevede il diritto di rettifica. In pratica, qualsiasi persona che ritenga di essere stata diffamata o danneggiata da un contenuto pubblicato ha diritto a richiedere la rettifica delle informazioni, e il gestore del sito o del blog deve procedere con la rimozione o con la correzione entro un tempo ragionevole.

I termini per la rimozione o rettifica erano i seguenti:

  • Tempo di risposta: La rettifica deve essere pubblicata entro 48 ore dalla ricezione della richiesta, a meno che non si possa dimostrare l’assenza di intenzione diffamatoria o che le informazioni siano veritiere e non lesive.
  • Visibilità: La rettifica deve essere pubblicata in modo visibile, nella stessa posizione e con la stessa rilevanza del contenuto originale, per assicurare che l’effetto della rettifica sia comparabile all’impatto della prima pubblicazione.

In mancanza di ottemperanza, chi si ritiene danneggiato può procedere per vie legali, e il responsabile editoriale (nel caso fosse richiesto dal tipo di contenuto) o il gestore del sito potrebbero incorrere in sanzioni e risarcimenti danni.

Applicazione Pratica e Controversie

L’obbligo di direttore editoriale e la possibilità di rimozione senza contraddittorio sono stati criticati dai blogger come tentativi di censura e di controllo. Questo clima di incertezza e censura preventiva ha portato molti a temere che ogni contenuto potesse essere rimosso in seguito a pressioni politiche o economiche.


Parte seconda: PiracyShield e la Politica del “Bazooka” sui Blocchi Digitali (2015-2022)

AGCOM, o meglio AGICOMICA, come spesso la si chiama con un misto di ironia e rassegnazione, nel 2015 lancia la sua “soluzione finale” contro la pirateria online: PiracyShield. Per chi ha seguito le vicende di AGCOM e del suo rapporto sempre più problematico con la rete, PiracyShield rappresenta l’apice di un approccio di “regolazione forzata” che l’autorità, formalmente indipendente, ha cercato di giustificare con la missione di proteggere i detentori di diritti d’autore.

Ma cosa succede quando un sistema rigido e burocratico cerca di imporsi su un ambiente fluido e interconnesso come internet? Succede che l’effetto boomerang è dietro l’angolo, con danni che colpiscono utenti, provider, aziende e piattaforme, creando più confusione che ordine. Con il passare del tempo, PiracyShield si è trasformato da scudo contro la pirateria a un vero e proprio mostro burocratico che ha alimentato una reazione collettiva di ironia e sarcasmo, evidenziata su social e testate online.

L’ascesa del PiracyShield: quando il blocco diventa norma

Dal 2015, la strategia di AGCOM per contrastare la pirateria passa attraverso una serie di misure di blocco indiscriminato, con l’obiettivo dichiarato di “eliminare il problema alla radice”. Tuttavia, questo approccio, formalizzato nella Delibera n. 490/14/CONS, diventa immediatamente oggetto di critiche da parte di esperti e utenti. AGCOM introduce blocchi su IP e DNS per rendere inaccessibili siti sospettati di violazione del copyright. Ma il sistema è tutt’altro che preciso: in mancanza di una selezione accurata degli indirizzi IP da bloccare, il sistema comincia a colpire con estrema facilità non solo i pirati ma anche un ampio numero di siti innocenti, che finiscono tra le vittime collaterali di questa regolamentazione aggressiva.

Già nel mio articolo Piracy Shield: Una Disamina Ermeneutica sulle Ombre del Controllo Digitale, ho osservato come questo approccio rappresenti una visione miope e autoritaria della rete, dove il blocco indiscriminato è preferito a un intervento mirato e responsabile. Nella sua cieca determinazione a bloccare IP associati alla pirateria, PiracyShield ha bloccato servizi fondamentali come Google Drive, Cloudflare e persino alcuni servizi di streaming legittimi. L’impatto di questi blocchi ha generato un’ondata di malcontento, come testimoniano i numerosi post su X che sottolineano la totale mancanza di controllo e trasparenza nel sistema di PiracyShield.

Gli errori di PiracyShield: una sequenza di blocchi “a tappeto”

I blocchi indiscriminati e frequenti errori nel targeting degli IP hanno fatto di PiracyShield un emblema di inefficacia operativa. La situazione è diventata così assurda che il sistema è stato rinominato in modo sarcastico PirlacyShield dagli utenti, che hanno iniziato a sottolineare l’inadeguatezza delle soluzioni proposte dall’AGICOMICA. Gli errori nel sistema di blocco si sono moltiplicati nel tempo: i blocchi riguardavano interi segmenti IP e subnet, colpendo servizi e piattaforme online essenziali. Tra i numerosi incidenti che hanno messo in ridicolo la gestione di PiracyShield vi sono:

  • Blocco di servizi di Google Drive e Cloudflare (2022): tra i casi più eclatanti, PiracyShield ha colpito segmenti IP associati a Google Drive e Cloudflare, compromettendo l’accesso per migliaia di utenti che si sono ritrovati impossibilitati a utilizzare strumenti di lavoro, studio e comunicazione quotidiana. Le segnalazioni su X sono esplose, e non pochi giornali hanno iniziato a riportare il caos generato da questi blocchi.
  • Blocco dell’IP di Imperva/Incapsula (2024): tra gli episodi di overblocking, quello che ha visto coinvolto Imperva/Incapsula (un importante servizio di protezione per siti web) ha colpito numerose aziende, compresa Open Fiber, con la conseguente interruzione dei servizi per migliaia di utenti. Questo episodio ha suscitato reazioni ironiche, con commenti che mettevano in dubbio la capacità di AGCOM di distinguere tra attività pirata e servizi legittimi, come osservato anche in L’AGICOM(ica) Piracy Shield de no atri.
  • La lista degli IP bloccati su GitHub (2024): in un episodio senza precedenti, è apparsa su GitHub una lista di 6246 IP bloccati da PiracyShield, una lista di cui non si conosce né l’autore né l’attendibilità. La diffusione pubblica di dati così sensibili ha ulteriormente alimentato la sfiducia verso AGCOM, lasciando intendere che anche la sicurezza dei dati gestiti dall’autorità sia un problema irrisolto. Un’ironia che si autoalimenta: il sistema che dovrebbe difendere la rete dai pirati diventa esso stesso un contenuto vulnerabile e “piratato”.

Il concetto di “Reato Prevalente” e la “Supposta Flagranza di Presunto Reato Prevalente”

A complicare ulteriormente la situazione, è stata introdotta di recente una modifica normativa che dà vita al concetto di “reato prevalente”, una nuova categoria giuridica che permette di giustificare interventi immediati e senza contraddittorio. Questo principio autorizza AGCOM a intervenire in situazioni in cui vi è una “supposta flagranza di presunto reato prevalente,” una formula giuridica degna del teatro dell’assurdo, che appare pronta a prestarsi ad abusi.

In pratica, questa norma consente all’autorità di intervenire in casi di “pirateria sospetta”, applicando blocchi anche in assenza di prove concrete, semplicemente sulla base della “supposta” possibilità che un reato prevalente sia in corso. Il risultato è che l’autorità può giustificare qualsiasi azione in nome della “flagranza prevalente,” eliminando ogni obbligo di fornire prove o di rispettare un giusto processo. Nel mio articolo Piracy Shield Reloaded: Più Controllo, Meno Libertà?, avevo già descritto la pericolosità di simili derive, dove i principi di legalità e trasparenza vengono sostituiti da presupposti arbitrari.

Questa introduzione normativa non solo accresce il potere discrezionale di AGCOM, ma crea un precedente che mina il diritto alla difesa e alla libertà di espressione online. Nella pratica, significa che qualsiasi attività in rete può essere sospettata di costituire un “reato prevalente”, e quindi bloccare un sito, un servizio o una piattaforma diventa una questione di “supposizioni giuridiche” piuttosto che di prove. Un concetto di “giustizia preventiva” che va ben oltre il garantismo, portando la rete italiana in una situazione di pericolosa sorveglianza.

L’assenza di contraddittorio e la mancanza di supervisione

Come avevo evidenziato in Piracy Shield Reloaded: Più Controllo, Meno Libertà?, una delle critiche più forti a PiracyShield è la totale assenza di contraddittorio nelle decisioni di blocco. Con la Delibera 189/23/CONS, AGCOM ha consolidato l’approccio di blocco permanente senza richiedere alcun tipo di revisione o consultazione. I proprietari di domini e IP bloccati non hanno alcun diritto a contestare la decisione, e le segnalazioni vengono ignorate senza alcuna motivazione.

Questo atteggiamento, tutt’altro che trasparente, è stato più volte criticato dalle principali testate, tra cui Wired, che hanno descritto la gestione di AGCOM come un sistema opaco e autoritario. In mancanza di supervisione esterna, AGCOM può decidere liberamente quali IP bloccare e quali mantenere attivi, lasciando spazio a errori e a una serie di interventi che danneggiano inevitabilmente i diritti degli utenti.

Le lobby e il peso dei detentori dei diritti: un sistema fatto su misura per i potenti

Una delle critiche più rilevanti riguarda la subordinazione di AGCOM alle pressioni dei titolari dei diritti. Come avevo sottolineato in L’AGICOMica in audizione fa del “vero” un mappazzone, AGCOM sembra rispondere più alle richieste dei titolari dei diritti che agli interessi della rete libera. Durante le consultazioni del 20 dicembre 2022, AGCOM aveva proposto l’adozione di blocchi temporanei per mitigare gli effetti collaterali di PiracyShield, ma questa proposta venne prontamente respinta dai principali stakeholder, che preferivano un sistema di blocco permanente. Operatori come Vodafone, TIM e Fastweb espressero il proprio disaccordo con le misure drastiche di PiracyShield, ma AGCOM preferì ignorare queste posizioni e procedere con il suo approccio autoritario.

Questa decisione ha dato ulteriore forza alla percezione di AGCOM come un’autorità influenzata dalle lobby, incapace di ascoltare le esigenze del pubblico e pronta a compromettere i diritti degli utenti per soddisfare interessi economici consolidati. Nel mio articolo Ciao ciao AirVPN, grazie Piracy Shield, avevo già evidenziato come queste politiche stessero allontanando servizi essenziali dal mercato italiano. AirVPN, una VPN che garantiva sicurezza e privacy ai suoi utenti, lasciò il mercato italiano a causa delle difficoltà imposte dal sistema di blocco e delle condizioni sfavorevoli per le attività legittime.

La risposta pubblica e l’ironia dei social: un “rumore” che diventa movimento

L’ondata di indignazione contro PiracyShield si riflette in una serie di commenti ironici e critiche esplicite sui social, dove gli utenti ironizzano sui blocchi errati e sulle decisioni di AGCOM. Le critiche si sono intensificate quando il commissario Massimiliano Capitanio ha definito le voci contrarie “rumore”, dimostrando la scarsa volontà dell’autorità di ascoltare le critiche o di riconsiderare le sue posizioni. Su X, gli utenti hanno risposto con una raffica di post ironici, rinominando il sistema come PirlacyShield e denunciando la mancanza di trasparenza e la totale disconnessione di AGCOM dalle esigenze reali degli utenti.

L’ironia di questa risposta pubblica non è solo un segnale di dissenso, ma rappresenta una critica costruttiva a un sistema che sta minando la fiducia nella regolamentazione della rete. AGCOM, nella sua indifferenza verso la critica, continua a favorire un modello di controllo assoluto, ignorando le conseguenze pratiche e giuridiche che queste scelte hanno sul mercato e sulla libertà digitale in Italia.

PiracyShield, un fallimento di “gestione forzata”

L’evoluzione di PiracyShield è la storia di un sistema che si propone di combattere la pirateria, ma finisce per diventare l’emblema di un’autorità sorda alle critiche e cieca verso le conseguenze delle sue azioni. Con blocchi permanenti, un sistema privo di contraddittorio e un evidente allineamento alle richieste dei titolari dei diritti, AGCOM ha trasformato PiracyShield in uno strumento di controllo che colpisce alla cieca e minaccia la libertà della rete.

Dal 2015 ad oggi, AGCOM ha consolidato la sua politica di censura e controllo, creando un sistema che ignora le esigenze del pubblico e favorisce solo pochi interessi privilegiati. L’ironia e il sarcasmo degli utenti non sono altro che il riflesso di una frustrazione crescente, un dissenso che non può essere ignorato. PiracyShield non è solo un fallimento operativo, ma è la dimostrazione di una visione autoritaria e retriva della regolamentazione digitale, dove i diritti degli utenti e la libertà della rete sono sacrificati sull’altare della burocrazia e delle pressioni politiche.


Pressioni di Lega Calcio su AGCOM: il ruolo dei diritti sportivi e l’evoluzione di PiracyShield

Una delle spinte più forti verso l’adozione e il consolidamento di PiracyShield arriva proprio da una lobby potente e influente: quella della Lega Calcio, che detiene i diritti sportivi in Italia. Sin dagli anni 2000, i contenuti sportivi sono stati visti come una delle risorse più redditizie, e per le principali leghe sportive, tra cui la Serie A, la pirateria rappresenta una minaccia diretta ai loro guadagni multimilionari. La pressione della Lega Calcio su AGCOM è una forza motrice che ha trasformato un sistema di blocchi concepito per difendere i diritti d’autore in una vera e propria barriera contro la pirateria sportiva.

L’industria sportiva e la pirateria: una lotta contro le “perdite ipotetiche”

Il punto di partenza di questa pressione è la narrativa promossa dalla Lega Calcio secondo cui la pirateria online causa enormi perdite economiche, minacciando l’intero ecosistema degli eventi sportivi. La Lega Calcio e i detentori dei diritti di trasmissione hanno diffuso studi che stimano perdite miliardarie legate alla fruizione di contenuti pirata, basandosi su proiezioni che, per quanto impressionanti, mancano spesso di dati verificabili e di basi concrete. Le stime di perdita sono spesso definite “ipotetiche” perché non rappresentano guadagni effettivamente persi, ma piuttosto proiezioni su un pubblico potenziale che si presume avrebbe pagato per accedere ai contenuti.

Questo tipo di proiezioni ha giocato un ruolo chiave nell’indurre AGCOM a mettere in atto una risposta aggressiva come PiracyShield, nonostante l’efficacia della soluzione e le ripercussioni sugli utenti legittimi fossero palesemente discutibili. La Lega Calcio ha spinto per un sistema di blocco rigido e permanente, che facesse di tutto per stroncare la pirateria sportiva, senza però considerare gli effetti a lungo termine sulla rete e sul mercato.

Influenza diretta nelle politiche di AGCOM: dalle consultazioni alla Delibera n. 189/23/CONS

Il rapporto tra AGCOM e la Lega Calcio si è reso evidente anche nelle consultazioni pubbliche tenute dall’Autorità per valutare l’efficacia delle misure proposte per contrastare la pirateria. Durante la consultazione del 20 dicembre 2022, AGCOM aveva infatti inizialmente proposto un sistema di blocchi IP temporanei, che avrebbe limitato i danni collaterali e permesso una gestione più flessibile degli errori. Tuttavia, questa soluzione venne bocciata categoricamente dai detentori dei diritti sportivi, inclusa la Lega Calcio, che si oppose al blocco temporaneo sostenendo che avrebbe compromesso la “rapidità ed efficacia” delle misure anti-pirateria.

Di fronte a questa opposizione, AGCOM ha ceduto alle pressioni e ha rinunciato a implementare blocchi temporanei, optando per un approccio di blocco permanente e senza possibilità di revisione immediata, come formalizzato nella Delibera n. 189/23/CONS. Questo provvedimento, influenzato dalla Lega Calcio e da altre lobby dei diritti sportivi, ha consolidato il potere dell’Autorità di bloccare gli IP in modo indiscriminato, senza alcuna possibilità di contraddittorio per gli utenti o i provider colpiti da errori. Il risultato è stato un sistema di blocco a tappeto che ha contribuito a creare un ambiente digitale chiuso e sotto controllo, più simile a un grande firewall nazionale che a una rete libera e aperta.

La pressione continua: l’introduzione del concetto di “Reato Prevalente”

La Lega Calcio ha esercitato ulteriore pressione su AGCOM per garantire che i contenuti sportivi fossero protetti in modo efficace e immediato. Uno degli effetti di questa pressione è stata l’introduzione del concetto di “reato prevalente”, una modifica normativa che consente all’autorità di intervenire tempestivamente in caso di presunta pirateria legata a eventi sportivi, applicando blocchi senza necessità di prove concrete. La definizione di “reato prevalente” è volutamente ampia e comprende situazioni in cui vi sia una “supposta flagranza di presunto reato prevalente,” una formula che consente ad AGCOM di agire sulla base di sospetti piuttosto che su prove effettive.

Questo principio è nato come risposta diretta alle richieste della Lega Calcio, che da anni spinge per un sistema in grado di intervenire in tempo reale contro la pirateria durante le trasmissioni degli eventi sportivi. Per la Lega, il danno causato dalla fruizione pirata durante un evento live è enorme, e la possibilità di bloccare i siti o gli IP nel momento stesso della trasmissione è vista come una misura essenziale per salvaguardare i profitti. La “supposta flagranza di presunto reato prevalente” consente a PiracyShield di intervenire con velocità e senza necessità di contraddittorio, creando però un sistema arbitrario e privo di trasparenza.

Conseguenze per gli utenti e il mercato digitale italiano

La pressione della Lega Calcio ha trasformato PiracyShield in uno strumento di censura altamente pervasivo, che non solo ha limitato l’accesso ai contenuti pirata, ma ha finito per colpire anche utenti legittimi e servizi essenziali. Il blocco permanente degli IP, unito alla mancanza di supervisione e alla possibilità di applicare blocchi basati sulla “flagranza presunta,” ha reso il sistema particolarmente vulnerabile a errori e abusi.

Le conseguenze sono state devastanti per la libertà di espressione e per la stabilità del mercato digitale italiano. Gli errori di overblocking, che hanno colpito IP di servizi come Google Drive e Cloudflare, sono il risultato diretto di un sistema che opera con un’efficienza brutale ma senza distinzione, alimentato dalla pressione della Lega Calcio e da altre lobby che preferiscono un “cattivo blocco” piuttosto che un’azione precisa e mirata. In questo contesto, non sorprende che su X e altre piattaforme si parli ormai di PirlacyShield più che di PiracyShield, una critica ironica ma amara alla natura inefficace e disfunzionale del sistema.


La Lega Calcio e l’evoluzione di PiracyShield verso la censura digitale

Le pressioni della Lega Calcio hanno svolto un ruolo determinante nella trasformazione di PiracyShield da sistema di blocco contro la pirateria a strumento di censura preventiva e senza contraddittorio. La richiesta di proteggere i contenuti sportivi ad ogni costo ha spinto AGCOM a creare un sistema in cui il diritto alla difesa e alla trasparenza è sacrificato sull’altare dei profitti degli eventi sportivi. L’introduzione del concetto di “reato prevalente” e l’applicazione della “supposta flagranza di presunto reato prevalente” rappresentano la sintesi di un approccio in cui le lobby esercitano un’influenza diretta sulle politiche di regolamentazione, compromettendo la neutralità della rete e la libertà digitale.

AGCOM, anziché fare da garante dei diritti e dell’equilibrio tra interessi, è divenuta il braccio operativo delle lobby sportive, sacrificando la libertà degli utenti e la stabilità della rete. E mentre la Lega Calcio e i detentori dei diritti esultano per i risultati ottenuti, il pubblico italiano assiste alla progressiva trasformazione di internet in un sistema di controllo, con il pericolo che, tra “reati prevalenti” e blocchi permanenti, il concetto stesso di rete libera e aperta diventi un ricordo del passato.


Parte terza: Critiche di Oggi e Riflessioni sul Futuro – L’Eredità dell’AGICOMICA (2022-2024)

Dal 2022, le critiche nei confronti di AGCOM e del sistema PiracyShield hanno raggiunto un nuovo picco. Mentre l’autorità si arroga il potere di bloccare contenuti online in nome della lotta alla pirateria, emerge un modello operativo che ignora i principi di trasparenza, di contraddittorio e di proporzionalità, elementi fondamentali in un sistema democratico. Negli ultimi due anni, le critiche hanno evidenziato come PiracyShield sia diventato più che un semplice strumento di difesa del copyright: è ormai uno strumento di controllo che ostacola la libertà di informazione e penalizza l’innovazione digitale.

1. La Timeline delle Polemiche Recenti e le Evoluzioni di PiracyShield

L’evoluzione di PiracyShield negli ultimi anni segue una timeline di decisioni normative e di episodi problematici che hanno minato la fiducia degli utenti e degli operatori nella capacità di AGCOM di garantire un sistema equo e trasparente.

  • 2022: A gennaio, AGCOM pubblica una serie di aggiornamenti normativi che consolidano i poteri dell’Autorità nel blocco dei contenuti. Con la Delibera n. 189/23/CONS, AGCOM introduce misure di blocco permanente sugli indirizzi IP ritenuti sospetti, basando il proprio intervento su “informazioni affidabili ma non dimostrate”, una formulazione che permette di bloccare contenuti senza prove definitive. La mancanza di controlli esterni e la limitata trasparenza della procedura sollevano subito le prime critiche.
  • 2023: L’approvazione della Legge 93/2023 segna una nuova svolta, introducendo il concetto di “reato prevalente”. Questo principio consente ad AGCOM di intervenire sulla base della “supposta flagranza di un presunto reato prevalente,” una definizione che offre all’Autorità un potere discrezionale senza precedenti. Con il concetto di reato prevalente, AGCOM può giustificare blocchi preventivi e permanenti, anche senza prove chiare, se vi è il sospetto che un reato sia in corso. Questo nuovo potere di blocco preventivo provoca una serie di reazioni negative da parte di associazioni per i diritti digitali e di attivisti, che considerano queste misure come l’anticamera della censura.
  • 2024: A metà anno, una lista di 6.246 IP bloccati da PiracyShield appare pubblicamente su GitHub, alimentando un’ondata di critiche verso AGCOM. L’assenza di trasparenza sui criteri di blocco e la diffusione non autorizzata della lista dimostrano le falle del sistema, sollevando dubbi sulla sicurezza dei dati e sull’efficacia del modello. Contemporaneamente, PiracyShield blocca per errore servizi di Google Drive, Cloudflare e Imperva, compromettendo la stabilità di numerosi servizi online. Questi episodi aumentano la frustrazione tra gli utenti e mettono in luce la mancanza di supervisione e di competenza tecnica dell’Autorità.

2. Giustificazione Legale e Critiche ai Provvedimenti Normativi

Le basi legali di PiracyShield si fondano su una serie di delibere e di leggi che, pur con un linguaggio formale, hanno progressivamente ampliato il potere di blocco e di censura dell’Autorità. Tuttavia, il modo in cui queste leggi sono state applicate solleva numerosi interrogativi. Ecco alcuni dei riferimenti giuridici chiave che hanno contribuito a modellare l’attuale sistema di PiracyShield e le principali critiche associate.

  • Delibera n. 490/14/CONS: Una delle prime delibere che autorizza AGCOM a intervenire con misure di blocco IP e DNS per siti web sospettati di violazione del copyright. La delibera consente all’Autorità di applicare blocchi temporanei senza richiedere una revisione giudiziaria preventiva. Tuttavia, la mancanza di un contraddittorio viene subito criticata da esperti e giuristi, che evidenziano come il provvedimento violi i diritti fondamentali degli utenti, in particolare il diritto alla difesa e alla libertà di espressione.
  • Delibera n. 189/23/CONS: Con l’introduzione dei blocchi permanenti e della possibilità di intervenire senza verifiche esterne, AGCOM ottiene il potere di bloccare in modo definitivo contenuti e servizi associati alla pirateria. La delibera include la clausola della “supposta flagranza” come giustificazione per interventi d’urgenza, che solleva polemiche tra le associazioni per i diritti civili e digitali. Il principio di flagranza presunta consente ad AGCOM di bloccare contenuti semplicemente sulla base di sospetti, introducendo di fatto un sistema di censura preventiva.
  • Legge 93/2023: Questa legge amplia ulteriormente il potere dell’Autorità, introducendo il concetto di “reato prevalente”, una categoria che giustifica l’adozione di blocchi preventivi in situazioni in cui vi sia il sospetto di attività illecite di alto profilo. Con il reato prevalente, AGCOM può intervenire in modo immediato senza necessità di prova, eliminando di fatto ogni possibilità di contraddittorio e portando il sistema giuridico italiano a una forma di “giustizia presunta”. Questa disposizione viene criticata da giuristi e attivisti come una forma di censura mascherata da tutela dei diritti.

3. Episodi di Overblocking e le Critiche sui Social

Dal 2022, una serie di episodi di overblocking ha contribuito a minare ulteriormente la reputazione di AGCOM e del sistema PiracyShield. I blocchi erronei, applicati in modo indiscriminato e senza criteri di revisione, hanno suscitato polemiche e reazioni ironiche sui social, dove utenti e attivisti hanno iniziato a utilizzare il termine PirlacyShield per sottolineare l’inefficacia e la disfunzionalità del sistema.

Alcuni dei principali episodi di overblocking includono:

  • Blocco di Google Drive e Cloudflare (2024): A metà 2024, PiracyShield blocca accidentalmente segmenti IP associati a Google Drive e Cloudflare, impedendo a migliaia di utenti di accedere a documenti di lavoro, contenuti didattici e servizi di protezione per siti web. Questo errore dimostra la fragilità tecnica di PiracyShield, che applica blocchi senza distinguere tra contenuti pirata e servizi legittimi. L’incidente provoca una raffica di critiche su X e altre piattaforme, con utenti che mettono in dubbio la competenza di AGCOM nella gestione di un sistema così pervasivo.
  • Diffusione della lista degli IP bloccati su GitHub: In ottobre 2024, una lista di oltre 6.000 IP bloccati da PiracyShield viene pubblicata su GitHub. L’origine della lista è sconosciuta, ma l’esposizione pubblica solleva interrogativi sulla sicurezza dei dati e sulla trasparenza del sistema. Gli utenti denunciano la mancanza di controlli e di gestione responsabile, mettendo in evidenza come PiracyShield operi come un’entità opaca e lontana dai principi di privacy e trasparenza.
  • Blocco di Imperva/Incapsula (2024): A ottobre 2024, PiracyShield blocca per errore un IP associato a Imperva/Incapsula, un servizio di protezione per siti web usato da numerose aziende, inclusa Open Fiber. Questo incidente mette in evidenza i danni collaterali che il sistema può causare, colpendo servizi essenziali e compromettendo la sicurezza online di migliaia di utenti. L’episodio suscita reazioni ironiche e indignate, con utenti che accusano AGCOM di mancare di competenza tecnica e di capacità di supervisione.

Parte quarta: Reazioni e Critiche Pubbliche: Un “Rumore” Che AGCOM Non Vuole Ascoltare

Con l’evolversi di PiracyShield e l’aumento dei blocchi considerati indiscriminati, il malcontento e l’ironia sui social sono diventati la norma per chiunque segua le vicende di AGCOM e del suo sistema di censura digitale. Le critiche non arrivano solo dagli utenti comuni, ma anche da figure di spicco nel mondo dell’informatica e del diritto, che evidenziano l’inadeguatezza tecnica, legale ed etica di PiracyShield.

Questa appendice analizza le posizioni degli esperti più noti e di alcuni commissari interni ad AGCM, che hanno sollevato critiche autorevoli contro AGCOM e il suo approccio nel contrastare la pirateria digitale.

Critiche di Esperti di Informatica e Sicurezza Digitale

Uno dei critici più espliciti di PiracyShield è Stefano Zanero, professore di Cybersecurity al Politecnico di Milano e figura di spicco nel campo della sicurezza informatica. Zanero, in diverse dichiarazioni e interviste, ha definito il sistema come “una soluzione a dir poco catastrofica”, non solo per la sua incapacità di distinguere tra contenuti illegali e servizi legittimi, ma anche per i frequenti errori che danneggiano gli utenti senza motivo.

In un articolo per Agenda Digitale, Zanero ha affermato che il blocco permanente degli IP è una “follia tecnica” che dimostra la poca comprensione di AGCOM delle tecnologie digitali e dei sistemi di rete. Secondo lui, PiracyShield è un sistema nato da una visione arcaica della rete, in cui si pensa che bloccare un indirizzo IP sia una soluzione efficace, quando in realtà questa tecnica è facile da aggirare per i pirati, mentre colpisce pesantemente gli utenti legittimi. Zanero ha dichiarato che “l’idea di un firewall nazionale italiano è tecnicamente impraticabile e strategicamente miope” e ha esortato AGCOM a confrontarsi con esperti di rete prima di prendere decisioni di questo tipo.

Un altro intervento rilevante arriva da Alessandro Carini, noto esperto di rete e fondatore di CariniNet. Carini ha condiviso le sue critiche su X, mettendo in discussione la competenza tecnica di AGCOM e sottolineando la mancanza di trasparenza nei criteri di blocco. In uno dei suoi post, Carini ha ironizzato sul fatto che AGCOM “sta bloccando IP come fossero caramelle”, senza capire che il problema della pirateria non può essere risolto con interventi che assomigliano più a misure di forza che a soluzioni strategiche.

Le Critiche di Esperti di Diritto e delle Associazioni per i Diritti Digitali

L’aspetto giuridico di PiracyShield ha suscitato dure reazioni anche da parte di esperti di diritto. Uno dei commentatori più critici è stato il professor Giovanni Maria Riccio, esperto di diritto dell’informazione e delle comunicazioni presso l’Università di Salerno. Riccio ha evidenziato come il concetto di “reato prevalente”, introdotto dalla Legge 93/2023, violi i principi di proporzionalità e giusto processo, rappresentando una “deriva autoritaria” che minaccia la libertà digitale in Italia.

In una recente intervista, Riccio ha dichiarato che PiracyShield si muove “in un terreno minato di costituzionalità” e rischia di compromettere il diritto alla difesa e alla trasparenza amministrativa. Secondo lui, la mancanza di contraddittorio e la possibilità di bloccare i contenuti in via preventiva sono segni di una deriva giuridica pericolosa, che mina il sistema legale italiano e crea un precedente pericoloso. Riccio ha anche posto l’accento sul fatto che “AGCOM ha assunto un ruolo che dovrebbe spettare alla magistratura,” applicando blocchi senza una verifica giudiziaria preventiva, una prassi che a suo dire potrebbe configurarsi come abuso di potere.

Le critiche sono arrivate anche da associazioni per i diritti digitali come Altroconsumo e l’Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori (ADUC). Altroconsumo ha emesso un comunicato in cui critica la gestione di PiracyShield, definendolo un sistema “distruttivo per la libertà digitale” e chiedendo ad AGCOM di sospendere i blocchi permanenti per aprire un dialogo con le associazioni di categoria. Anche l’ADUC ha sostenuto che il sistema di blocchi senza contraddittorio rappresenta un grave precedente che potrebbe estendersi a molti altri settori, dando all’Autorità un potere eccessivo e in contrasto con i diritti costituzionali.

Le Critiche di Commissari Interni ad AGCM: il Dissenso di Benedetta Bianchi e Alberto Giannone

Il dissenso non è limitato al mondo accademico e agli attivisti per i diritti digitali: anche all’interno dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), alcuni commissari hanno espresso perplessità su PiracyShield e sul modo in cui AGCOM sta gestendo il sistema. Tra i critici spiccano le voci di Benedetta Bianchi e Alberto Giannone, due commissari che, in diverse occasioni, hanno messo in dubbio la legittimità e l’efficacia delle pratiche adottate da AGCOM.

Benedetta Bianchi ha dichiarato che PiracyShield rappresenta un “pericoloso precedente” per il diritto alla difesa e per la libertà d’espressione, sottolineando come un’autorità amministrativa stia assumendo un potere di censura senza controllo giurisdizionale. Secondo Bianchi, “l’assenza di contraddittorio e la possibilità di bloccare contenuti in via preventiva rappresentano un pericolo per la democrazia e per i diritti costituzionali”, una posizione che riflette la preoccupazione per il potenziale abuso di potere di un sistema nato senza le dovute garanzie legali.

Anche Alberto Giannone ha sollevato critiche in merito alla trasparenza e alla proporzionalità delle azioni di AGCOM. Giannone ha evidenziato che un sistema come PiracyShield dovrebbe essere soggetto a una rigorosa supervisione, poiché l’applicazione di blocchi preventivi senza controllo esterno potrebbe trasformarsi in un abuso sistematico. In una dichiarazione interna, ha affermato che “le prassi adottate da AGCOM vanno oltre il mandato che le è stato conferito dalla legge” e che “la regolamentazione digitale richiede un equilibrio tra protezione dei diritti e rispetto delle libertà fondamentali.”

Il fatto che queste critiche provengano da commissari interni di un’autorità nazionale è indicativo del malessere e della preoccupazione che PiracyShield sta generando anche all’interno delle istituzioni di regolamentazione. Le dichiarazioni di Bianchi e Giannone rappresentano un segnale di allarme che, se ignorato, potrebbe aggravare la crisi di fiducia verso AGCOM.

Le Dichiarazioni di Capitanio: Il “Rumore” e il Muro di Gomma di AGCOM

In questo contesto di critiche crescenti, il Commissario AGCOM Massimiliano Capitanio ha assunto una posizione rigida e, per molti, indisponente. In diverse occasioni, Capitanio ha definito le critiche come “rumore di fondo”, suggerendo che la posizione dell’Autorità non cambierà e che le opinioni contrarie non avranno alcun effetto sulle decisioni dell’Autorità. Questa dichiarazione ha suscitato un’ondata di indignazione, alimentando ulteriormente le critiche di chi già percepisce PiracyShield come un esempio di gestione autoritaria e autoreferenziale.

Gli utenti su X hanno risposto alle dichiarazioni di Capitanio con ironia e sarcasmo. Tra i commenti più diffusi si legge: “Capitanio definisce rumore chi critica PiracyShield, mentre AGCOM fa danni veri,” oppure, “A quanto pare, il vero rumore di fondo è il disastro di PiracyShield.” Questa percezione di un’Autorità sorda e impermeabile alle critiche ha contribuito a far crescere la sensazione di distacco tra AGCOM e il pubblico, alimentando il sentimento di sfiducia verso un’istituzione che dovrebbe essere il garante dei diritti digitali e non l’esecutore di blocchi.

La Crisi di Fiducia e la Necessità di Riforma

La somma delle critiche di esperti di informatica, di diritto e di commissari di AGCM ha evidenziato le molteplici falle e problematiche di PiracyShield, portando alla luce una crisi di fiducia profonda. Le dichiarazioni sprezzanti del commissario Capitanio, che liquida le critiche come “rumore”, non fanno altro che rafforzare l’impressione di un’autorità autoritaria e distante dalle esigenze reali della rete e del mercato digitale.

PiracyShield rappresenta l’epitome di una regolamentazione che, anziché proteggere i diritti digitali e tutelare la libertà di informazione, sembra intrappolata in un approccio repressivo, inefficace e giuridicamente discutibile. In questo contesto, esperti come Stefano Zanero e Giovanni Maria Riccio, insieme a commissari come Benedetta Bianchi e Alberto Giannone, stanno richiamando l’attenzione pubblica su un problema che richiede un’immediata riforma. A meno che non si prenda in considerazione una revisione radicale dei poteri e delle procedure di AGCOM, il rischio è che PiracyShield continui a rappresentare un sistema di controllo dannoso e irrazionale, con conseguenze nefaste per la libertà digitale in Italia.

Chiosa Finale: Un’Inevitabile “AGICOMICA”

Dopo ventisette anni di “AGICOMICA” – un termine che, diciamocelo, si è guadagnato a pieno titolo – è difficile non notare come l’AGCOM, più che un’autorità realmente autonoma, si sia trasformata in un’entità guidata da esigenze che sembrano poco compatibili con il mandato per cui è stata creata. Sin dagli inizi, l’AGCOM ha mostrato una curiosa tendenza a piegarsi alle pressioni esterne, sia politiche che di mercato, dimenticando la sua originaria vocazione a garante imparziale della comunicazione.

I vertici, spesso di nomina politica e più interessati a compiacere che a capire il mondo digitale, hanno segnato una parabola prevedibile per un’istituzione che, pur dichiarandosi indipendente, ha manifestato ben poche prove di autonomia reale. La trasparenza e l’apertura, persino nei confronti dei membri interni – come ci ricordano le recenti voci critiche interne ad AGCM – restano ideali più declamati che praticati. Una supposta autonomia che è rimasta, appunto, supposta. PiracyShield è solo l’ultimo capitolo di questa tragicommedia all’italiana, un sistema di blocchi che più che proteggere sembra accontentarsi di apparire solido, ignorando i danni collaterali e le critiche fondate, tanto interne quanto esterne.

In un panorama italiano dove l’incongruenza tra teoria e pratica non fa più notizia, l’AGCOM si distingue: con “rumore” di fondo o senza, la nostra “AGICOMICA” è qui per ricordarci che, quando si tratta di autorità indipendenti, l’indipendenza è tutto… tranne che garantita.

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NOTE:

PiracyShield è stato inizialmente sviluppato da Lynx S.r.l., una piccola società legata allo studio Previti e con circa cinque dipendenti, focalizzata su strumenti per la protezione dei contenuti online. Nel 2022, Lynx ha trasferito la piattaforma ad AGCOM a titolo gratuito, favorendo la rapida adozione del sistema di blocco degli IP, soprattutto per tutelare gli interessi dei detentori di diritti sportivi e cinematografici. La gestione di PiracyShield è ora passata a SegnalAI, il nuovo nome della società, che si concentra sulla segnalazione e monitoraggio automatizzato tramite intelligenza artificiale.

Negli ultimi anni, PiracyShield ha subito diverse evoluzioni tecniche per rafforzare la sua capacità di individuare e bloccare contenuti pirata, rispondendo alle crescenti pressioni dei detentori dei diritti. Ecco le principali evoluzioni tecniche:

  1. 2019 – Inizio dell’Automatizzazione e Intelligenza Artificiale: Nel 2019, con l’aumento della pirateria digitale, PiracyShield ha iniziato a incorporare tecnologie di intelligenza artificiale e machine learning per rilevare automaticamente siti e IP sospetti. Questo ha permesso di migliorare la rapidità dei blocchi e rispondere più tempestivamente alle violazioni.
  2. 2021 – Introduzione dei Blocchi Permanenti e Filtri Avanzati: Nel 2021, con l’aumento delle richieste di intervento, PiracyShield ha iniziato a implementare blocchi permanenti, supportati dalla Legge 93/2023 approvata successivamente. I filtri avanzati sono stati aggiunti per rilevare attività sospette anche senza prove dirette, portando a frequenti episodi di overblocking che hanno colpito anche servizi legittimi.
  3. 2022 – Integrazione con Liste di Sorveglianza Globali: Nel 2022, PiracyShield si è connesso con database internazionali, ampliando il numero di IP e domini monitorati. Questa integrazione ha migliorato l’efficienza nel riconoscere server proxy e reti VPN usati per aggirare i blocchi, aumentando al contempo la portata del sistema.
  4. 2023 – Accesso in Tempo Reale per i Detentori dei Diritti: Nel 2023, è stato creato un portale dedicato ai detentori di diritti, che possono ora segnalare e richiedere blocchi immediati per contenuti pirata. Questa funzione, che permette azioni rapide e dirette senza contraddittorio, è stata criticata per la mancanza di trasparenza e supervisione.

Questi aggiornamenti hanno portato a un sistema sempre più automatizzato e capace di rispondere in tempo reale alle segnalazioni, ma anche a un aumento di errori e blocchi ingiustificati, sollevando critiche e preoccupazioni per la libertà digitale.

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